Amministrative in Turchia, contro Erdogan pesano inflazione e povertà

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 03/04/2024

Le elezioni amministrative che si sono tenute in Turchia domenica 31 marzo hanno rappresentato una grave battuta d’arresto politica per il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, e il suo partito conservatore, Partito giustizia e sviluppo (Akp). Se prima del voto l’obiettivo del capo dello Stato era quello di riprendere la guida di città importanti come Istanbul e Ankara – perse alle urne nel 2019 – e cementificare la vittoria ottenuta alle elezioni generali dello scorso maggio, adesso la priorità diventa quella di riconquistare la fiducia dei cittadini da qui alla fine del suo mandato presidenziale, che terminerà nel 2028. La nuova tornata elettorale ha infatti sancito una storica vittoria dell’opposizione, con il Partito popolare repubblicano (Chp) che ha ottenuto in generale il 37,77 per cento dei voti – a fronte del 35,49 per cento raccolto dall’Akp – tornando a riaffermarsi sia nella capitale Ankara che a Istanbul, città più popolosa e centro economico del Paese.

Nel complesso, il Chp ha vinto in 14 aree metropolitane, 21 province e 337 distretti, mentre l’Akp in 12 aree metropolitane, 12 province e 356 distretti. Come ha sottolineato ad “Agenzia Nova” la responsabile dell’Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa presso l’Ispi, Valeria Talbot, “il Partito repubblicano del popolo è emerso da queste amministrative la prima forza politica del Paese”. Secondo l’esperta dell’Ispi, a determinare la sconfitta elettorale di Erdogan è stata la “delusione” dei cittadini turchi verso le politiche intraprese dal governo dell’Akp, in particolare quelle economiche, di natura “ortodossa”, che hanno portato in molti “o ad astenersi o a votare altri partiti conservatori”. Stando ai dati ufficiali, l’affluenza si è attestata al 78,55 per cento, contro l’84,52 per cento delle amministrative del 2019: su poco più di 61 milioni di aventi diritto di voto, si sono recate alle urne 48,2 milioni di persone.

Numeri che, ha spiegato Talbot, sono stati inferiori rispetto alle attese, considerando che nelle precedenti tornate elettorali l’affluenza si era sempre affermata intorno all’85 per cento. A spingere gli elettori verso l’opposizione sarebbe stata quindi, a detta di Talbot, soprattutto la pesante situazione economica che pesa sulle spalle dei cittadini turchi, nell’ambito della quale il mese di febbraio ha registrato un tasso di inflazione pari al 67 per cento. “Si è verificato un voto di protesta, del malcontento di chi guarda soprattutto alla propria situazione economica, al deterioramento dei propri standard di vita e all’erosione del proprio potere d’acquisto”, ha spiegato a questo riguardo la responsabile dell’Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa presso l’Ispi. Dopo la chiusura delle urne e la conclusione dello spoglio dei voti, Erdogan ha riconosciuto la sconfitta del suo partito di governo durante un discorso dalla sede dell’Akp ad Ankara, definendo il risultato “non così buono come si sperava”.

L’affermazione del Chp nelle maggiori città del Paese apre adesso nuovi interrogativi sulla futura leadership dell’Akp, anche alla luce di quanto affermato dallo stesso capo dello Stato nel corso della campagna elettorale: “Queste elezioni saranno le mie ultime con l’autorità conferita dalla legge”, aveva detto. Alcune settimane fa, il quotidiano statunitense “Politico” aveva indicato l’attuale ministro degli Esteri, Hakan Fidan, come possibile successore di Erdogan. Secondo Talbot, il presidente turco “non ha finora indicato ufficialmente alcun successore, quindi quelle che vengono fatte sono delle speculazioni guardando a quello che è il panorama politico dell’Akp e quelle che sono le figure preminenti all’interno del partito di governo”. “Forse è però giunto il momento per Erdogan di pensare seriamente alla questione della successione”, ha aggiunto l’analista, evidenziando comunque che “ci aspettano altri 4 anni senza elezioni e quindi la figura del presidente o il suo ruolo politico non sono messi a rischio”. “C’è quindi una prospettiva di altri 4 anni davanti, sia per Erdogan che per il suo partito al governo”, ha pertanto osservato Talbot.

Intanto, per i prossimi anni in Turchia, si apre anche il tema relativo alla potenziale ascesa del Partito popolare repubblicano (Chp), di stampo nazionalista e di ispirazione laica. Secondo l’esperta dell’Ispi “le amministrative hanno sicuramente rafforzato la figura di Ekrem Imamoglu”, rieletto sindaco di Istanbul e da molti considerato nuovo possibile leader del Chp. “Si tratta di una figura carismatica che riesce ad avere un consenso trasversale, al di là della base elettorale del suo partito”, ha spiegato Talbot, aggiungendo tuttavia che “oggi non è utile dire se alle scorse presidenziali poteva essere candidato Imamoglu” al posto di Kemal Klicidaroglu (che al ballottaggio decisivo si è fermato al 47,9 per cento dei consensi contro il 52,1 di Erdogan).