Braccio di ferro sul petrolio, il nodo la presenza francese nel Sahel

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 17/05/2024

L’ULTIMA CRISI VEDE PROTAGONISTI NIGER E BENIN

Ruota ancora una volta intorno alla presenza militare della Francia nel Sahel l’ultima crisi che vede protagonisti Niger ed il vicino Benin, legata all’esportazione di petrolio avviata a gennaio da Niamey. Lo scorso 6 maggio le autorità di Porto-Novo hanno infatti deciso di bloccare il primo carico di petrolio nigerino trasportato dai giacimenti petroliferi di Agadem, nel Niger sud-orientale, alla piattaforma costiera di Semè-Podji, nel Benin meridionale, tramite il più lungo oleodotto africano, un nuovo impianto costruito e gestito dalla China National Petroleum Corp (Cnpc), la compagnia nazionale cinese. Un duro colpo per la giunta del generale Omar Tchiani, al potere a Niamey dal golpe dello scorso 26 luglio, che si è vista sospendere il primo carico di petrolio destinato a Pechino. La stampa nigerina ha condannato il blocco deciso dal governo beninese, additando il presidente Patrice Talon come “apprendista ricattatore” e gettando benzina sul fuoco per le successive dichiarazioni dei militari. “Abbiamo deciso sovranamente di mantenere chiusa la nostra frontiera con il Benin per il semplice motivo che i nostri ex amici francesi sono tornati in territorio beninese dopo la loro partenza dal Niger”, ha dichiarato il primo ministro ad interim del Niger, Ali Mahamane Lamine Zene, durante una conferenza stampa trasmessa l’11 maggio dall’emittente nazionale “Rtn”. In un gesto apparentemente distensivo, il Benin ha tuttavia deciso ieri, 15 maggio, di autorizzare il primo carico petrolifero da Niamey, affermato di non avere “alcuna intenzione di ledere gli interessi del Niger o di qualsiasi partner comune”, e ha convocato un incontro bilaterale alla presenza dei delegati cinesi. Il contenzioso appare comunque ancora lontano da una risoluzione.

La chiusura delle frontiere fra Benin e Niger è stata decisa nell’ambito delle sanzioni imposte a Niamey dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) dopo il colpo di Stato del 26 luglio, che ha portato alla destituzione del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum. La misura avrebbe, di fatto, dovuto cessare con la revoca delle stesse, decretata il 25 febbraio scorso, senonché la giunta nigerina ha rifiutato di riaprire il passaggio lamentando un rischio per la sua sicurezza nazionale. Secondo il premier Zene, il Benin ospiterebbe infatti “almeno cinque basi dell’esercito francese” nel nord del Paese, vicino al confine con il Niger. In alcuni di questi siti, inoltre, verrebbero addestrati “terroristi” incaricati di “venire a destabilizzare il Niger”. Niamey, ha dichiarato Zene, manterrà chiusi i suoi confini “fino a quando il Benin non deciderà di affrontare questa questione essenziale”. Con queste dichiarazioni il capo del governo nigerino ha replicato alla decisione delle autorità di Porto-Novo di impedire la spedizione di greggio nigerino dal porto di Semè, annunciata il 6 maggio per protestare contro la mantenuta chiusura del confine nigerino. In dichiarazioni rilasciate a “Ortb”, l’emittente pubblica del Benin, il presidente Patrice Talon ha aggiunto di aver “detto ai inesi che non possono esserci navi nelle nostre acquep er caricare prodotti nigerini, visto che il Nigerh a vietato qualsiasi commercio con il Benin chiudendoi suoi confini”, tentando in seconda battuta di calmare gli animi rammaricandosi delle “difficili relazioni” con il vicino Niger, due Paesi “amici e fratelli”. “Prendere il Benin come un Paese nemico e diffondere la notizia che il Paese avrebbe ammassato truppe straniere lungo il confine per attaccare il Niger è assolutamente ridicolo”, ha dichiarato il presidente in un’intervista all’emittente francofona “Rfi”.

Il progetto di esportazione petrolifera del Niger, Paese che ha ufficialmente avviato la produzione di greggio nel 2011, è uno dei punti programmatici della giunta del generale Omar Tchiani per la riconquista della “sovranità” economica e per l’affrancamento dalla sofferta dipendenza da potenze straniere. A questo scopo, a fine marzo le autorità hanno perfino aperto una Scuola nazionale del Petrolio e del gas (Enpg) annessa all’Università André Salifou di Zinder, nel Niger centrale. L’esportazione è destinata principalmente al Benin – cui spettano 90 mila dei 110 mila barili al giorno (bdp) prodotti – e viene garantita tramite l’oleodotto che collega i due Paesi per oltre 2 mila chilometri, convogliando la produzione nel porto petrolifero di Semè, da dove viene esportato a livello internazionale. Era stato lo stesso generale Tchiani, a fine dicembre, ad annunciare l’avvio delle attività di esportazione: “Dei 90mila barili prodotti al giorno che saranno trasportati in Benin, il Niger riceverà il 25,4 per cento delle entrate, ovvero 22.860 barili al giorno”, aveva precisato in diretta televisiva. L’accordo fra Niger e Benin risale in realtà già al 2008, quando fu negoziato dal leader militare nigerino Mamdou Tandja, rovesciato due anni dopo da un golpe. Il contratto – che assegnava il 40 per cento della produzione a Niamey e il 60 per cento alla Cncp – fu mantenuto dal successore democraticamente eletto Mahamadou Issoufou, che nel 2011 con l’inaugurazione della raffineria nella città centro-settentrionale di Olelewa consacrava il Niger come nuovo produttore petrolifero. Secondo la giunta nigerina, in totale sono stati investiti più di 6 miliardi di dollari, di cui 4 miliardi per lo sviluppo dei giacimenti petroliferi (deposito Agadem) e 2,3 miliardi di dollari per la costruzione dell’oleodotto.