Congo-Kinshasa, che cosa non torna nella storia del tentato golpe

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 21/05/2024

I CONTORNI ANOMALI DELL’AZIONE DI FORZA

È un tentato colpo di Stato dai contorni anomali quello che è stato sventato nel fine settimana in Repubblica democratica del Congo (Rdc). Domenica mattina all’alba un commando di circa 20 uomini armati ha tentato un’azione di forza nella capitale Kinshasa, attaccando prima la residenza del vicepremier Vital Kamerhe nel quartiere diplomatico di Gombé, quindi forzando l’ingresso del Palazzo della nazione, sede della presidenza congolese, dove hanno brandito la bandiera dell’ex Zaire (il nome della Rdc sotto il dittatore Mobutu Sese Seko, rovesciato nel 1997) prima di essere fermati dalla guardia presidenziale.

Secondo quanto ricostruito dal portavoce delle Forze armate congolesi (Fardc), generale Sylvain Ekenge, il gruppo aveva inoltre pianificato di attaccare la casa del nuovo primo ministro Judith Suminwa e la residenza del ministro della Difesa Jean-Pierre Bemba, non riuscendo tuttavia ad identificare il domicilio del primo e non trovando il secondo in casa. Ekenge è intervenuto in diretta televisiva su “Rtnc” intorno alle 11 del mattino (le 12 in Italia) per confermare che l’esercito ha sventato “un tentativo di colpo di Stato”, azione che ha coinvolto attori “stranieri e congolesi”.

Gli aggressori, ha riferito, sono stati “neutralizzati, incluso il loro capo”: quest’ultimo è stato ucciso, mentre un altro assalitore e due agenti sono morti negli scontri scoppiati con la polizia dopo l’assalto alla casa del vicepremier Kamerhe. Durante i fatti, il presidente Felix Tshisekedi è stato tratto in luogo sicuro dalla Guardia presidenziale, intervenuta per assicurarne la difesa. Il tentato golpe di Kinshasa vede protagonisti personaggi dai tratti anomali rispetto a quanto avvenuto in azioni analoghe avvenute negli ultimi anni in altri Paesi del continente.

L’esercito ha riferito oggi di aver arrestato in tutto 50 sospetti – di diverse nazionalità – ritenuti implicati nell’azione. Tre di loro hanno passaporto statunitense: il leader del gruppo, identificato come il 41enne Christian Malanga Musumari, e due uomini bianchi, entrambi suoi soci: Benjamin Zalman-Polun e Cole Patrick. Ad un terzo uomo bianco, di cui non è noto il nome, è stata attribuita la naturalizzazione britannica. Residente a Salt Lake City, nello Utah, Malanga è fondatore del Partito congolese unito (Ucp), formazione di centro-destra creata nel 2012 negli Usa per raccogliere candidati indipendenti dell’opposizione per le elezioni e che, con il tempo, ha finito per guadagnare popolarità tra i membri della diaspora congolese.

Tra i membri del commando, ora agli arresti, c’era anche il figlio 22enne Marcel. Malanga si è trasferito insieme ai genitori e a cinque fratelli nel 1993 in Eswatini (l’ex Swaziland), dove il giovane ha studiato in una scuola elementare metodista, quindi nel 1998 nell’Utah, ottenendo in entrambi i casi lo status di rifugiato politico. Otto anni dopo, nel 2006, fa ritorno in Rdc per prestare il servizio militare, ottenendo il grado di capitano l’anno successivo. Dopo i tentativi falliti di entrare in politica nella Rdc, Malanga rientra negli Stati Uniti nel 2012, anno in cui ha fondato l’Ucp, prima di trascorrere alcuni anni a Bruxelles dove ha creato un “governo congolese” in esilio, chiamato “Nuovo Zaire” e del quale si è autoproclamato “presidente”.

Sul suo sito web, Malanga sostiene di aver iniziato a nutrire risentimento per il governo di Kinshasa durante il periodo trascorso nell’esercito congolese, quando iniziò a denunciarne la corruzione e la scarsa attenzione ai cittadini. Malanga ha trasmesso in diretta su Facebook l’incursione al Palais de la Nation, durante la quale i suoi uomini hanno inneggiato alla necessità di “cambiare le cose nella gestione della Repubblica”. Alle 6 (ora locale) Malanga ha pubblicato un post sulla stessa piattaforma social con scritto “Nuovo Zaire”. Non ancora noto alla stampa il numero due del gruppo, descritto dal generale Ekenge come “un soggetto naturalizzato britannico”, mentre gli altri due cittadini statunitensi presenti nel commando rispondono ai nomi di Benjamin Zalman-Polun (36 anni) e Cole Patrick Ducey: il primo residente nel Maryland, il secondo in California, entrambi soci in affari di Malanga nel mercato della cannabis, dei liquidi per sigarette elettroniche e delle risorse minerarie.

Secondo il database del comune di San Diego, Ducey – che è apparso in alcuni video circolanti sui social dopo il suo arresto, in cui supplica i militari di risparmiarlo dopo evidenti segni di colluttazione-dal 2011 al 2022 Cole è stato arrestato sei volte nella città californiana e nella vicina Encinitas per possesso di stupefacenti, per aver guidato una moto d’acqua con un tasso alcolemico pari o superiore allo 0,08 per cento e per aver picchiato la coniuge o convivente. Nel 2022 Malanga, Zalman-Polun e Ducey aprono insieme in Mozambico la Bantu Mining Campany, una società mineraria a responsabilità limitata registrata nella Gazzetta ufficiale di Maputo. Più in generale, Zalman-Polun traffica con Malanga negli Stati Uniti per le risorse minerarie ed in Rdc e Mozambico per la cannabis, settori ai quali aggiungono attività nel proficuo settore dei liquidi per sigarette elettroniche.

Secondo fonti della stampa congolese, l’imprenditore era entrato in Rdc lo scorso 9 maggio atterrando all’aeroporto internazionale di Kinshasa. Se il ritratto degli aspiranti golpisti di Kinshasa li avvicina più al mondo dei faccendieri che a quello dei milita ri, le Fardc hanno confermato che durante le loro incursioni i membri del commando avevano con sé attrezzature pesanti, tra cui armi, droni e dispositivi di terminazione delle comunicazioni utili ad ottenere l’accesso a sistemi di rete. L’uso di droni è stato confermato anche da fonti citate dall’emittente “Rfi” e dal governo della vicina Repubblica del Congo, dove peraltro nelle stesse ore una granata è caduta nella capitale Brazzaville – separata da Kinshasa solo da 7 chilometri e dal fiume Congo – provocando decine di schegge e diversi feriti.

Le accuse formulate dal leader di opposizione francese Jean-Luc Mélenchon, presidente de La France Insoumise, all’indirizzo del vicino Ruanda “e dei suoi alleati” ha inoltre contribuito ad alimentare il dibattito sul presunto coinvolgimento nel fallito golpe di attori come i gruppi armati ostili al governo congolese – in testa il Movimento del 23 marzo (M23) – contro cui Kinshasa combatte da tempo, ritenendo che siano sostenuti e finanziati da Kigali. L’ambasciatrice degli Stati Uniti in Rdc, Lucy Tamlyn, ha promesso la massima collaborazione con le autorità congolesi per indagare sull’implicazione dei cittadini statunitensi. Ferma la condanna anche da parte del presidente della Commissione dell’Unione africana (Ua), Moussa Faki Mahamat, e della rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Rdc e capo della Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite nella Rdc (Monusco), Bintou Keita, che ha promesso di seguire “molto da vicino” l’evolversi della situazione.

Numerose restano le domande rimaste senza risposta all’attuale stato dei fatti. Non è chiaro, ad esempio, come il commando abbia potuto penetrare indisturbato nel Palazzo presidenziale, né se uno degli obiettivi fosse il presidente Felix Tshisekedi, che però non risiede più nel palazzo ma nella “Cité”, il complesso dell’Unione africana. Ancora, non è ancora chiaro se i golpisti sperassero di avere rinforzi e, in questo caso, da chi. In questo senso “Rfi” ricorda che il mese scorso il capo di Stato maggiore delle Fardc, Christian Tshiwewe Songesha, aveva annunciato a Camp Kokolo l’arresto di diversi agenti dell’esercito e della polizia per tradimento. Al momento è difficile dire se questi arresti e gli eventi di ieri siano in qualche modo collegati.