Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 11/06/2024
Non si placano le violenze nel dilaniato territorio dell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc), già teatro di un’insurrezione del gruppo ribelle noto come Movimento 23 marzo (M23) che negli ultimi tre anni ha conquistato una porzione significativa di territorio, sottraendolo alle forze governative.
Stando a quanto riferito da fonti della sicurezza citate dall’emittente “Radio Okapi”, di proprietà delle Nazioni Unite, almeno 72 persone sono state uccise da martedì 4 a venerdì 7 giugno scorso negli attacchi dalle Forze democratiche alleate (Adf), gruppo ribelle ugandese che dal 2019 è affiliato allo Stato islamico, nel territorio di Beni, nella provincia del Nord Kivu. Secondo le stesse fonti, 42 civili sono state uccise a Masala, altri 30 civili nei vicini villaggi di Masau, Mununze, Kabweke e Manlese. Negli attacchi, gli aggressori hanno anche requisito 25 motociclette e dato alle fiamme diverse abitazioni.
Dopo l’assalto, sabato 8 giugno elementi delle forze congiunte delle Forze armate congolesi (Fardc) e delle Forze armate ugandesi (Updf) – che dal 2021 hanno lanciato un’operazione congiunta per contrastare i gruppi ribelli attivi nell’est congolese – sono arrivati a Mabalako e Cantine. Dal 3 giugno scorso nel territorio di Beni un totale di 123 civili sono stati uccisi in vari attacchi attribuiti ai ribelli delle Adf. Il gruppo ribelle ugandese, che ora ha sede nel Congo orientale, ha giurato fedeltà allo Stato islamico nel 2019 e lanciano frequenti attacchi, destabilizzando ulteriormente una regione in cui sono attivi molti gruppi militanti.
Le Adf nacquero in Uganda orientale negli anni ’90, quando imbracciarono le armi contro il presidente di lunga data del Paese, Yoweri Museveni, combattendo contro la presunta persecuzione dei musulmani da parte del governo. Le operazioni militari congiunte delle forze armate ugandesi e congolesi contro i ribelli delle Adf, iniziate nel 2021, non sono finora riuscite a fermare gli attacchi contro i civili. Le Adf sono ritenute responsabili, tra l’altro, di due attacchi compiuti a dicembre scorso nell’Uganda occidentale, in cui sono morte 13 persone, oltre che dell’omicidio di due turisti in luna di miele – un uomo britannico e una donna sudafricana – e della loro guida durante un safari nel Parco nazionale Queen Elizabeth, sempre nell’ovest dell’Uganda. Le Adf, ritenute responsabili della morte di centinaia di civili negli ultimi anni, continuano a rappresentare un serio pericolo per i governi di Kampala e Kinshasa, nonostante di recente l’esercito ugandese abbia ucciso il comandante del gruppo, Musa Kamusi.
Il Movimento 23 marzo (M23) ha recentemente ripreso la sua campagna armata contro l’esercito congolese nell’est del Paese e ha sottratto porzioni consistenti di territorio alle forze governative, grazie anche al sostegno logistico e finanziario del vicino Ruanda. Kinshasa accusa da tempo il governo ruandese del presidente Paul Kagame di fomentare gruppi di guerriglia sul proprio territorio, in particolare appunto l’M23. Accuse simili sono state formulate per quanto riguarda i Red Tabara – ribellione filo-tutsi originaria del Sud Kivu, provincia dell’est dell’Rdc – da parte del presidente Ndayishimiye, che lo scorso 29 dicembre ha espressamente puntato il dito contro Kigali. I Red Tabara “sono nutriti, protetti, ospitati e mantenuti in termini logistici e di mezzi finanziari dal Ruanda”, ha dichiarato il capo dello Stato burundese, affermando di aver negoziato senza successo per due anni con Gitega nel tentativo di far estradare i ribelli rifugiati in Ruanda, ma ribadendo che “finché (i combattenti) avranno un Paese che fornisce loro uniformi, li nutre, li protegge, li ripara, li mantiene, avremo problemi” aveva concluso.