Gli Usa cedono al pressing della giunta, di Niamey, verso il ritiro dei militari dal Niger

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 23/04/2024

Sembrano aver sortito l’effetto sperato le pressanti richieste, da parte della giunta militare al potere in Niger, di ottenere il ritiro delle truppe statunitensi presenti nel Paese del Sahel. Secondo quanto riferito nel fine settimana da fonti dell’amministrazione Usa, il ritiro avverrà in maniera “ordinata e responsabile” e inizierà “nei prossimi giorni”, anche se il suo completamento richiederà “mesi”. La decisione del ritiro, riferisce il “New York Times”, segue l’annuncio del mese scorso del governo militare di Niamey ed i successivi colloqui intercorsi tra le parti, gli ultimi questa settimana: in quest’occasione, il vicesegretario Kurt Campbell ha detto al primo ministro nigerino, Ali Lamine Zeine, che gli Stati Uniti non sono d’accordo con l’avvicinamento di Niamey alla Russia ed all’Iran e ha contestato quella che ha definito come l’incapacità della giunta di tracciare un percorso chiaro per il ritorno alla democrazia.

Sebbene nessun commento sia per ora giunto da parte dell’amministrazione Usa, la notizia del ritiro dal Niger darebbe seguito all’annuncio con cui lo scorso 16 marzo la giunta di Niamey ha interrotto “con effetto immediato” l’accordo di cooperazione militare firmato con gli Stati Uniti nel 2012. L’annuncio era giunto dopo una visita di una delegazione Usa guidata da Molly Phee, assistente segretaria di Stato per gli Affari africani, e comprendente anche il generale Michael Langley, capo del Comando Usa per l’Africa (Africom). Una visita durante la quale, come denunciato dal portavoce della giunta nigerina, dalla delegazione Usa è stata lanciata l’accusa “cinica” di aver stretto un accordo segreto per fornire uranio all’Iran e la “minaccia di ritorsioni”.

Il colonnello ha contestato anche le obiezioni che gli Usa avrebbero sollevato sugli alleati scelti dal Niger, nonché il mancato rispetto del protocollo diplomatico: il Niger non sarebbe stato informato della composizione della delegazione, della data di arrivo e dell’agenda della missione. Contro la presenza delle truppe Usa si sono svolte, nelle ultime settimane, partecipate proteste a Niamey e nel nord del Paese, in particolare ad Agadez, dove ha sede una delle due basi aeree Usa presenti nel Paese. Qui centinaia di persone sono scese nuovamente in piazza domenica scorsa sventolando le bandiere della Russia, del Niger, del Burkina Faso e del Mali (gli altri due Paesi golpisti scivolati nell’orbita di Mosca). In Niger restano al momento presenti circa 650 militari statunitensi (per la precisione 648, secondo quanto affermato dal presidente Joe Biden in una lettera inviata al Congresso nel dicembre scorso), nonostante un riposizionamento delle truppe avvenuto a settembre (in precedenza erano circa 1.100), dopo il golpe che nel luglio scorso ha deposto il presidente Mohamed Bazoum e insediato la giunta al potere.

Gli Usa gestiscono due basi aeree in Niger: la prima, la Base 101, è situata all’aeroporto di Niamey; l’altra, la già citata Base 201, è stata costruita per una spesa di circa 110 milioni di dollari nella città nigerina di Agadez (a circa 920 chilometri a nord-est della capitale Niamey) e viene utilizzata dal 2018 per prendere di mira i combattenti dello Stato islamico e del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim), affiliato ad al Qaeda, nella regione del Sahel. La base – l’unico avamposto Usa ancora operativo tra l’Equatore e il Mediterraneo, assieme a quello di Gibuti – ospita al momento due aerei ricognitori elettromagnetici, due elicotteri di manovra e una decina di droni MQ 9 Reaper, che consentono ai militari di avere una visione dell’intero Sahel e, in particolare, della Libia, che è la via d’accesso al Mediterraneo.

Ora che le truppe Usa, con ogni probabilità, saranno costrette a sloggiare dal Niger (e forse anche dal vicino Ciad, dove fonti citate dalla “Cnn” hanno riferito che il governo di N’Djamena avrebbe inviato una lettera in cui minaccia di porre fine a un accordo di sicurezza con Washington), di particolare importanza resta la presenza del contingente militare italiano inquadrato nella Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (Misin), autorizzata dal Parlamento italiano nel 2018. La missione – la cui area geografica di intervento è allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin – conta attualmente circa 250 effettivi, dislocati in un “hub” operativo-logistico completato nel giugno 2022 e situato all’interno dell’aeroporto di Niamey.

Dopo il definitivo ritiro del contingente francese, iniziato lo scorso 5 ottobre e completato il 22 dicembre dopo una presenza decennale, l’Italia resta di fatto l’unico Paese europeo presente in Niger, insieme alla Germania – presente con circa 100 unità, di stanza nello stesso compound dov’è presente quello italiano – e al Belgio, che mantiene una presenza simbolica di soli tre militari, nell’ambito dell’operazione “New Nero” avviata nel 2017. Una presenza, quella italiana, che viene vista di buon occhio dall’amministrazione Usa, come ribadito dal segretario di Stato Antony Blinken all’omologo italiano, Antonio Tajani, in occasione della riunione ministeriale del G7 di Capri.

La stessa giunta nigerina, del resto, guarda con favore alla permanenza del contingente militare italiano, come confermato dalla recente visita di una delegazione italiana ad alto livello guidata dal capo del Comando operativo di vertice interforze (Covi), generale Francesco Paolo Figliuolo, e dal segretario generale della Farnesina, Riccardo Guariglia. Una visita che fonti della Difesa citate da “Agenzia Nova” hanno definito “molto positiva”, e in occasione della quale sono stati colti segnali di apertura e di benevolenza nei confronti del nostro Paese.