Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 10/05/2024
La decisione degli Usa di rimandare l’invio di armi a Tel Aviv, se dovesse lanciare un’azione su vasta scala nel sud della Striscia di Gaza, «potrebbe costringere Israele a modificare i suoi piani operativi»
La decisione degli Stati Uniti di rimandare l’invio di armi a Tel Aviv se dovesse lanciare un’operazione su vasta scala a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, “potrebbe costringere Israele a modificare i suoi piani operativi”. Così si sono aperte le prime pagine dei giornali oggi in Israele, sempre più isolato sul piano internazionale, dove l’annuncio degli Stati Uniti di bloccare l’invio di armi di attacco – e mantenere le consegne delle armi di difesa – è stato accolto dalla compagine di governo come una pugnalata alle spalle. Intanto le delegazioni di Hamas, Israele e Usa presenti al Cairo sono partite, con il movimento islamista che ha annunciato di aver accettato una proposta di tregua, i cui dettagli restano però sconosciuti.
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha condiviso nuovamente su X il video del discorso che ha tenuto la scorsa settimana durante una commemorazione della Shoah, in cui aveva affermato che la pressione internazionale non impedirà a Israele di difendersi. “Se Israele deve restare da solo, resterà da solo”, aveva detto Netanyahu. Il video del capo del governo è considerato una risposta indiretta alle ultime dichiarazioni del presidente statunitense, Joe Biden, che ha annunciato la volontà di sospendere la fornitura di alcuni tipi di armamenti allo Stato ebraico in caso di un’offensiva su larga scala a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dove risiedono centinaia di migliaia di sfollati palestinesi e dove si ritiene che si nascondano i miliziani dei gruppi armati.
Da parte sua, il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha detto che lo Stato di Israele “non può essere sottomesso, né le Forze di difesa israeliane (Idf), né il ministero della Difesa, né l’establishment della difesa. Resisteremo, raggiungeremo i nostri obiettivi, colpiremo Hamas, distruggeremo Hezbollah e porteremo sicurezza”. Rivolgendosi “ai nemici di Israele e ai suoi migliori amici”, il ministro ha detto: “Qualunque sia il costo, garantiremo l’esistenza dello Stato di Israele”. La Difesa israeliana “è preoccupata che la decisione degli Stati Uniti di ritardare le spedizioni di armi a Israele possa influire sulla preparazione delle Forze di difesa israeliane (Idf) per potenziali conflitti su altri fronti”, riferisce il quotidiano “Haaretz”. Gli alti funzionari delle Idf avrebbero avvertito il governo delle potenziali conseguenze dello stop dell’invio di armamenti dagli Usa, sottolineando la necessità di una rapida soluzione.
Per i funzionari della sicurezza israeliana il fermo di queste spedizioni non avrà un impatto diretto sui combattimenti a Gaza, ma è uno sviluppo preoccupante che potrebbe influenzare la preparazione dell’esercito per potenziali conflitti in altre aree, come per esempio sul fronte settentrionale al confine con il Libano. Israele “continuerà a combattere Hamas fino alla sua distruzione. Non esiste guerra più giusta di questa”, ha scritto su X il ministro degli Esteri di Israele, Israel Katz, a tre giorni dall’avvio di un’operazione militare “circoscritta” a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, considerata da Tel Aviv l’ultima roccaforte del movimento islamista palestinese che il 7 ottobre 2023 ha lanciato un attacco contro lo Stato ebraico. Le dichiarazioni di Biden non sono state ben accolte dal ministro della Sicurezza nazionale di Israele, Itamar Ben-Gvir, leader politico dell’ultradestra, che su X ha scritto: “Hamas ama Biden”.
Durante una intervista registrata in Wisconsin con l’emittente “Cnn”, Biden ha riconosciuto che “a causa di queste bombe, e in generale delle operazioni militari nei centri abitati, a Gaza sono morti dei civili. Sono stato molto chiaro: se entreranno nella città non invieremo armi, anche se per il momento non lo hanno ancora fatto”. Secondo Biden, le operazioni delle Idf per il momento hanno avuto luogo solo al confine con l’Egitto, in prossimità del valico omonimo. Il presidente Usa ha chiarito che gli Stati Uniti continueranno ad inviare sistemi e armi di difesa. “Continueremo a fare in modo che abbiano tutto il necessario per difendersi dagli attacchi che arrivano dalla regione”, ha spiegato.
Per quanto riguarda i negoziati, le delegazioni del movimento islamista palestinese Hamas e di Israele sono partite dopo due giorni di trattative al Cairo, in Egitto, senza aver trovato consenso, secondo quanto riferito dall’emittente egiziana “Al Qahera News Channel”. Gli sforzi egiziani e gli sforzi dei mediatori – Stati Uniti e Qatar – continuano ad avvicinare i punti di vista delle due parti, soprattutto alla luce dei recenti sviluppi, fanno sapere fonti egiziane. “Aderiamo alla proposta dei mediatori”, ha puntualizzato Hamas. Anche il direttore della Cia, William Burns, è ripartito per tornare a Washington, dopo avere partecipato negli ultimi giorni alle trattative per un accordo di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Le autorità statunitensi hanno espresso “ottimismo” in merito alla possibilità di trovare un punto di incontro tra Israele e il movimento islamista palestinese di Hamas. Burns ha lasciato l’Egitto nella giornata di oggi, dopo essere andato anche in Israele per incontrare il premier Benjamin Netanyahu e il direttore del Mossad, David Barnea.