Il figlio del presidente somalo Mohamud al centro di un caso diplomatico

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 14/12/2023

RICERCATO PER AVER INVESTITO E UCCISO UN CORRIERE IN MOTO AD ANKARA

Sta facendo parlare da alcuni giorni la vicenda che vede protagonista il figlio del presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, ricercato a livello internazionale per aver investito ed ucciso un corriere in moto ad Ankara, in Turchia, con un’auto diplomatica che non era autorizzato ad usare. Il caso sta suscitando indignazione nel Paese mediorientale dopo che il secondogenito del leader somalo, Mohamed, ha violato il divieto di movimento impostogli dalle autorità turche lasciando il Paese. Fonti diplomatiche somale riferiscono che l’uomo avrebbe cercato rifugio a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, ma a sostegno di quest’ipotesi non ci sono al momento conferme, salvo una foto – non localizzabile – che lo ritrae a bordo dell’aereo con il quale avrebbe illegalmente lasciato l’aeroporto di Ankara. Mohamed è stato inizialmente trattenuto dalla polizia di Ankara per un interrogatorio, quindi è stato rilasciato perché ritenuto non responsabile dei fatti, ma la procura ha deciso di rinviare il suo fascicolo ad altri esperti per un ulteriore giudizio. È in questo contesto che le autorità turche hanno emesso un divieto di movimento, in seguito violato, ed il successivo mandato di arresto internazionale nei confronti di Mohamed.

I fatti risalgono allo scorso 30 novembre. Secondo le informazioni raccolte dai media turchi, l’incidente è avvenuto verso mezzogiorno in via Kennedy, ad Ankara, all’uscita di un tunnel in direzione di Zeytinburnu. L’auto, in dotazione al consolato somalo e con targa diplomatica, era guidata dallo stesso Mohamed, il quale avrebbe commesso una grave infrazione stradale prima d’investire con l’auto la vittima, Yunus Emre Goçer, alla guida di un due ruote che nell’impatto è andato completamente distrutto. Sui social sono circolate immagini dell’incidente in cui si vede un corpo coperto sul ciglio della strada, ma nei giorni successivi fonti diplomatiche hanno assicurato che dopo l’impatto Mohamed avrebbe portato il motociclista, rimasto gravemente ferito, in ospedale, dove poi è deceduto.

Nella confusa dinamica dei fatti, non ancora del tutto accertata, il rilascio di Mohamed ha provocato l’indignata reazione dell’opinione pubblica e della classe politica turca. Così il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, ha promesso in un post su X (ex Twitter) di fare il possibile per perseguire il responsabile dell’incidente, denunciando un rilascio a suo avviso ingiustificato ed un trattamento di favore nei confronti del secondogenito del presidente somalo. In risposta alle sue dichiarazioni, domenica scorsa decine di persone – molti corrieri motociclisti – si sono radunate a Istanbul per chiedere che Mohamed venga processato per la morte di Gocer.

Sul caso vige, come prevedibile, il più grande riserbo istituzionale. L’ambasciata somala in Turchia non hanno rilasciato alcun commento sull’accaduto, e tantomeno ha fatto la presidenza, ma un invito a reagire a quanto accaduto è giunto dall’ex ambasciatore turco a Mogadiscio, Kani Torun. In un messaggio pubblicato su X, il diplomatico ha espressamente chiesto al presidente somalo di consegnare suo figlio alla giustizia di Ankara. “Caro presidente Mohamud, tuo figlio ha ucciso un motociclista in un incidente stradale e poi è fuggito dalla Turchia. Non ti rende giustizia in quanto devoto musulmano ed è una cattiva pubblicità per la Somalia.

Per favore consegna tuo figlio in tribunale perché possa essere processato e risarcisci la famiglia della vittima”, ha scritto Torun. Rispondendo alle pressioni, il ministro della Giustizia turco Yilmaz Tunc ha affermato che sono state avviate “procedure internazionali” riguardo all’incidente, senza tuttavia aggiungere dettagli. “Indipendentemente dal titolo, tutti sono uguali davanti alla legge e l’intero processo per la cattura del sospettato, inclusa la procedura internazionale, viene portato avanti meticolosamente”, ha dichiarato il ministro sui social, confidando poi ad alcuni giornalisti di “Garowe online” che è stata avviata un’indagine anche sugli agenti di polizia che hanno condotto i primi accertamenti e, presumibilmente, hanno permesso al giovane di essere rilasciato.

Il caso rischia, se non di incrinare, quanto meno di appannare le forti relazioni diplomatiche che Mogadiscio ha stretto negli anni con Ankara, suo fondamentale alleato sul piano della sicurezza nazionale. Da fine 2017 le autorità turche gestiscono a Mogadiscio la base Turksom, importante struttura di formazione militare nella quale circa 200 consulenti turchi addestrano ogni anno centinaia di soldati somali. Secondo l’ex ambasciatore turco in Somalia Mehmet Yilmaz, circa un militare somalo su tre viene addestrato dalla Turchia, insieme a circa 600 agenti di polizia per le operazioni speciali. Dal 2013 la Turchia ha inoltre assunto il ruolo di facilitatore nei colloqui tra il governo federale della Somalia e l’amministrazione separatista del Somaliland, dossier delicato per l’unità federale del Paese come lo è anche il fronte dell’immigrazione: da alcuni anni, infatti, Ankara ospita i numerosi rifugiati somali provenienti da regioni dove l’emergenza climatica e l’insufficienza alimentare stanno costringendo alla fuga migliaia di persone.

Nel fitto tessuto di relazioni politiche ed imprenditoriali che legano la Somalia alla Turchia, Mogadiscio non si può permettere in questo specifico momento di perdere un alleato prezioso in diversi ambiti legati alla sicurezza nazionale del Paese. Proprio in questi giorni il presidente somalo è impegnato a New York, in una conferenza sulla sicurezza da lui promossa, a convincere i suoi partner internazionali a continuare a sostenere l’offensiva contro i terroristi di al Shabaab. Il tutto nel quadro della vigorosa offensiva lanciata di recente contro il gruppo jihadista e sull’onda della revoca, dopo 31 anni, dell’embargo Onu sulle armi. In questo contesto, Mohamud ha avviato una poderosa riorganizzazione del settore della difesa e della sicurezza che prevede la recluta di 30 mila forze di terra, 40 mila unità di polizia e 8.500 agenti di polizia.