Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 04/06/2024
Per la prima volta dalla fine dell’apartheid il Congresso nazionale africano (Anc), al potere in Sudafrica dal 1994, non ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento alle settime elezioni generali nella storia del Paese che si sono svolte lo scorso 29 maggio. Secondo quanto emerso dai dati definitivi diffusi dalla Commissione elettorale del Sudafrica (Iec), l’Anc ha ottenuto il 40,2 per cento dei voti, il peggior risultato di sempre, conquistando “soltanto” 159 seggi su 400 nell’Assemblea nazionale (ne aveva 230 la scorsa legislatura). Al secondo posto si è piazzata l’Alleanza democratica (Da), partito centrista d’ispirazione liberale, che ottiene il 21,8 per cento e conquista 87 seggi, seguita dal partito dell’ex presidente Jacob Zuma, l’uMkhonto weSizwe (Mk), che si attesta intorno al 14,6 per cento e conquista ben 58 seggi, grazie soprattutto all’exploit fatto registrare nella provincia costiera dello KwaZulu-Natal (di dove è originario lo stesso Zuma). Il risultato ottenuto dall’Mk ha fatto scivolare al quarto posto i Combattenti per la libertà economica (Eff), di ispirazione marxista, con il 9,5 per cento e 39 seggi conquistati.
L’affluenza registrata alle urne è stata del 58,6 per cento. Per la prima volta dalla fine dell’apartheid, nel 1994, l’Anc sarà dunque costretto a formare un governo di coalizione con uno o più partiti minori. I rapporti contrastanti con l’ex presidente Jacob Zuma potrebbero rendere improbabile un accordo con il partito Mk, tanto più che il partito ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso in tribunale contro l’esito delle elezioni, mentre più plausibile appare un’intesa con la Da, formazione che si è detta aperta al confronto ma promette battaglia su alcuni contestati temi governativi.
L’unica cosa certa, al momento, è la disfatta epocale dell’Anc, e questo sebbene il risultato fosse ampiamente previsto dai sondaggi e dal costante calo che il partito del presidente uscente Cyril Ramaphosa aveva fatto registrare nelle ultime tornate elettorali, a partire dalle elezioni municipali del 2021, dove pure si era attestato sotto la soglia psicologica del 50 per cento. Per quanto l’Anc resti per distacco il primo partito del Paese, infatti, il suo declino è reso ancor più evidente se si confrontano i risultati delle precedenti elezioni generali: il partito che fu guidato da Nelson Mandela è passato dal 69,7 per cento e 279 seggi ottenuti nel 2004 al 65,9 per cento e 264 seggi del 2009, per poi scendere al 62,15 per cento e 249 seggi del 2014 e al 57,5 per cento e 230 seggi del 2019. Un calo costante, accentuato dai diffusi scandali di corruzione che hanno travolto il partito nel corso degli anni – culminati con le dimissioni dell’allora presidente Jacob Zuma nel 2018 – e acuito ulteriormente dall’alto tasso di disoccupazione, dalle forti disuguaglianze sociali e dai continui blackout di energia elettrica che da anni affliggono vaste aree del Paese. Un declino che è stato confermato dallo stesso Ramaphosa.
Nel rilasciare le sue prime dichiarazioni dopo il voto il presidente ha ammesso la sconfitta, affermando che “i risultati riflettono la volontà del popolo” e sostenendo che l’esito elettorale rappresenti in ogni caso “una vittoria per la democrazia”, e ha invitato i partiti rivali a trovare un terreno comune per eventuali accordi di coalizione. “Questo momento nel nostro Paese richiede una leadership responsabile e un impegno costruttivo. Non può esserci spazio per minacce di violenza o instabilità”, ha aggiunto nella sua newsletter settimanale. Il forte calo del sostegno dell’Anc ha alimentato le speculazioni secondo cui i suoi giorni alla guida del partito – e dunque del Sudafrica – potrebbero essere contati, tuttavia finora gli alti dirigenti del partito lo hanno sostenuto pubblicamente mentre all’orizzonte non s’intravede un successore in grado di sostituirlo. Il capo dello Stato uscente, se effettivamente sarà confermato, sarà però costretto a difficili trattative per formare un governo di coalizione, il cui esito potrebbe essere determinante anche per il suo destino politico. In ogni caso, le trattative non potranno durare troppo a lungo dal momento che la Costituzione del Sudafrica prevede che il Parlamento di Città del Capo debba tenere la sua prima sessione entro 14 giorni dalla pubblicazione dei risultati, dunque entro il 17 giugno.
L’ipotesi al momento più accreditata è quella di un’intesa – non scontata – con il partito arrivato secondo alle elezioni: l’Alleanza democratica. La formazione guidata da John Steenhuisen, punto di riferimento dell’elettorato bianco del Sudafrica, ha di recente riunito alcuni partiti di opposizione più piccoli per formare un patto noto come Carta multipartitica proprio per sfidare l’Anc alle elezioni e non sembra intenzionata a cedere facilmente le sue posizioni, benché abbia lasciato intendere di essere pronta ad una trattativa. Secondo gli osservatori, all’interno dell’Anc c’è una fazione favorevole ad un’alleanza con i liberali della Da, che rassicurerebbe maggiormente il mondo degli affari e i partner internazionali, a partire dagli Stati Uniti, preoccupati invece da una pericolosa – ma al momento improbabile – alleanza con gli Eff di Julius Malema, le cui posizioni radicali e di chiara impostazione marxista spaventano non poco l’establishment.