Sudan, assedio a El Fasher e rischio pulizia etnica Nel Darfur si teme la catastrofe umanitaria

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 15/05/2024

L’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Ue, Josep Borrell ha espresso grave preoccupazione

Sembrano essere caduti nel vuoto gli accorati appelli della comunità internazionale affinché la città di El Fasher, capitale dello Stato del Darfur settentrionale, fosse risparmiata dai combattimenti che imperversano in Sudan a ormai più di un anno dallo scoppio della guerra civile. Da venerdì sorso, 10 maggio, la città è teatro di violenti combattimenti tra le Forze armate sudanesi (Saf) del generale Abdel-Fattah al Burhan e le Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Mohamed Hamdan Dagalo “Hemeti”, che puntano a conquistare l’ultima città di rilievo del Darfur non ancora sotto il loro controllo. Considerata uno snodo strategico per le sorti del conflitto, El Fasher era stata fino ad ora risparmiata dai combattimenti, tuttavia per settimane la città è stata presa di mira da fitti bombardamenti. La città ospita un quarto degli abitanti del Sudan e accoglie da mesi un gran numero di sfollati dal conflitto, per questo la comunità internazionale teme un ulteriore allargamento della crisi umanitaria anche ai Paesi vicini. La lotta per il controllo di El Fasher potrebbe prolungarsi e rischia pertanto d’infiammare ulteriormente le tensioni etniche emerse nel conflitto del Darfur nei primi anni Duemila, e di estendersi oltre il confine con il Ciad.

Secondo quanto denunciato l’altro ieri dall’organizzazione non governativa Medici senza frontiere (Msf), almeno 16 persone sono morte a causa dei pesanti combattimenti in corso ad El Fasher soltanto nelle ultime ore, portando a 44 il bilancio delle vittime dall’inizio degli scontri. Questo dopo che nel fine settimana Msf ha riferito che un suo ospedale pediatrico è stato costretto a chiudere dopo un attacco aereo che ha provocato l’uccisione di due bambini e un assistente nel reparto di terapia intensiva. La città, nel frattempo, è immersa in un blackout quasi totale, con le comunicazioni che risultano interrotte e il personale medico e delle Ong impossibilitato a fornire informazioni sulla situazione in tempo reale. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) stima che circa 850 persone (170 famiglie) siano state sfollate in varie località della località di El Fasher a causa degli scontri. Inoltre, secondo quanto riferito, le persone sono fuggite dalle aree a est e nord-ovest della città di El Fasher verso le aree a sud della città, che già ospita oltre 40.600 sfollati in fuga dai combattimenti in varie località della zona. Secondo quanto riferito dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), oltre un terzo – circa il 36 per cento – degli sfollati nel Nord Darfur sono ospitati ad El Fasher, dove al momento ci sono più di 800 mila civili intrappolati, mentre circa l’87 per cento degli sfollati interni nel Nord Darfur sono stati sfollati da località all’interno dello Stato, di cui circa 235 mila provenienti da El Fasher.

Un duro monito sulla drammatica situazione umanitaria ad El Fasher è giunto due giorni fa dal sottosegretario delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari, Martin Griffiths, il quale ha definito il conflitto in Sudan “a un punto di svolta” nel contesto del peggioramento della violenza a El Fasher. “L’Onu ora si aspetta che si faccia ciò che il mondo e il diritto umanitario internazionale si aspettano”, ha dichiarato, sollecitando un’azione immediata per prevenire ulteriori spargimenti di sangue. Anche l’Unione europea ha condannato fermamente la recente escalation dei combattimenti a El Fasher. In una dichiarazione congiunta, l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell e il commissario per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic, hanno espresso grave preoccupazione per la situazione. “Gli attacchi indiscriminati da entrambe le parti, compreso l’ospedale pediatrico Babiker Nahar, sono inaccettabili”, si legge nella dichiarazione. “Siamo particolarmente allarmati dalla mancanza di forniture mediche e medicinali all’Al Fasher South Hospital, l’unico ospedale funzionante in tutto lo Stato”, prosegue la nota, che chiede l’accesso “immediato, incondizionato e senza ostacoli” agli aiuti umanitari in tutto il Sudan, sottolineando come dall’inizio dell’anno solo 39 camion di aiuti abbiano raggiunto El Fasher, limitando gravemente l’assistenza ai civili in disperato bisogno.

Nelle scorse settimane il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, riunito per una riunione d’emergenza, ha espresso preoccupazione per la situazione ad El Fasher, in particolare sul fronte umanitario. Anche gli Stati Uniti hanno lanciato un appello a tutti i Paesi, compresi gli Emirati Arabi Uniti, affinché smettano di fornire sostegno alle parti in guerra in Sudan. L’ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha affermato in una nota che l’esercito sudanese e le rivali Rsf stanno entrambi ricevendo sostegno, portando alla distruzione del Sudan e allo sfollamento di milioni di persone. In vista dell’offensiva ad El Fasher, che poi è effettivamente avvenuta, sia le Nazioni Unite che gli Stati Uniti avevano chiesto a tutti gli attori in Sudan di porre “immediatamente” fine agli attacchi. “Una operazione del genere metterebbe in serio pericolo la popolazione civile e i rifugiati che si trovano nell’area”, si legge in una nota del dipartimento di Stato, in cui si condannano anche gli attacchi delle milizie legate alle Rsf in diversi villaggi nel Darfur settentrionale e i bombardamenti effettuati nella regione dalle Forze armate sudanesi.

Ma il Darfur settentrionale non è il solo Stato ad essere colpito da una situazione umanitaria che le Nazioni Unite hanno definito “catastrofica”. La scorsa settimana l’organizzazione non governativa Human Rights Watch (Hrw), in un rapporto di 218 pagine, ha infatti denunciato quella che potrebbe configurarsi come una “pulizia etnica” su larga scala ad El Geneina, capitale dello Stato del Darfur occidentale, dove migliaia di persone sono state uccise e centinaia di migliaia sono state sfollate nel periodo compreso tra aprile e novembre 2023. Secondo il rapporto, diffusi crimini contro l’umanità e crimini di guerra sono stati commessi nel contesto di quella che viene definita una “campagna di pulizia etnica” contro l’etnia masalit e altre popolazioni non arabe ad El Geneina e dintorni. Il rapporto documenta che le Forze di supporto rapido e le milizie loro alleate, principalmente arabe, hanno preso di mira i quartieri prevalentemente masalit di El Geneina in incessanti ondate di attacchi condotti tra aprile e giugno 2023, che si sono nuovamente intensificate all’inizio di novembre. Secondo Hrw, gli aggressori hanno commesso altri gravi abusi come torture, stupri e saccheggi.

Più di mezzo milione di rifugiati dal Darfur occidentale sono fuggiti in Ciad dall’aprile 2023 e, alla fine di ottobre 2023, il 75 per cento di essi proveniva da El Geneina. “Mentre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e i governi si rendono conto dell’incombente disastro di El Fasher, le atrocità su larga scala commesse a El Geneina dovrebbero essere viste come un promemoria delle atrocità che potrebbero verificarsi in assenza di un’azione concertata”, ha affermato Tirana Hassan, direttrice esecutiva di Hrw. “I governi, l’Unione africana e le Nazioni Unite devono agire ora per proteggere i civili”, ha aggiunto.

“L’inazione globale di fronte ad atrocità di questa portata è imperdonabile. “I governi dovrebbero garantire che i responsabili siano tenuti a rendere conto, anche attraverso sanzioni mirate e intensificando la cooperazione con la Corte penale internazionale”, ha aggiunto. Secondo Hrw, prendere di mira il popolo masalit e altre comunità non arabe, commettendo gravi violazioni contro di loro con l’apparente obiettivo di farli lasciare definitivamente la regione, costituisce pulizia etnica. Il particolare contesto in cui hanno avuto luogo gli omicidi su larga scala solleva anche la possibilità che le Rsf e i loro alleati abbiano l’intento di distruggere in tutto o in parte la popolazione masalit, almeno nel Darfur occidentale, il che indicherebbe che un genocidio vi è stato commesso o è in corso.