Sudan: la comunità internazionale chiede la fine dell’assedio di Al Fashir

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 01/05/2024

Si teme un’escalation del conflitto. La situazione è stata al centro della riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che si è tenuta nella notte tra lunedì e martedì scorsi a New York

La comunità internazionale è sempre più preoccupata per la situazione nella città di Al Fashir, capitale del Darfur settentrionale, dove da giorni è atteso un imminente attacco delle Forze di supporto rapido (Rsf), da in guerra contro le Forze armate sudanesi (Saf) nel sanguinoso conflitto civile che imperversa in Sudan da ormai più di un anno. La situazione in Sudan, e in particolare ad Al Fashir, è stata al centro della riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che si è tenuta nella notte tra lunedì e martedì scorsi a New York. Al termine dell’incontro, organizzato su richiesta del governo sudanese, che accusa in particolare gli Emirati Arabi Uniti di sostenere le Rsf, i membri del Consiglio hanno espresso preoccupazione per la situazione sul terreno, in particolare sul fronte umanitario.

L’incontro si è svolto a porte chiuse ma, secondo quanto riferito dall’emittente “Rfi”, al termine delle consultazioni i membri del Consiglio di sicurezza hanno assicurato di essere in contatto con i Paesi che sostengono l’esercito sudanese e le Rsf – inclusi gli Emirati – per chiedere la riduzione della tensione e scongiurare l’ormai sempre più imminente attacco ad Al Fashir. Considerata uno snodo strategico per le sorti del conflitto, la città è stata fino ad ora risparmiata dai combattimenti tra le Saf del generale Abdel-Fattah al Burhan e le Rsf del generale Mohamed Hamdan Dagalo “Hemeti”, tuttavia da due settimane è presa di mira da fitti bombardamenti in vista di un imminente attacco. Al Fashir ospita un quarto degli abitanti del Sudan e accoglie da mesi un gran numero di sfollati dal conflitto, per questo la comunità internazionale teme un ulteriore aggravamento della crisi umanitaria anche ai Paesi vicini.

Negli ultimi giorni si sono moltiplicati gli appelli internazionali alle parti in conflitto affinché si astengano dall’attaccare la città e a ridurre le rispettive operazioni militari, al fine di scongiurare un ulteriore peggioramento della crisi umanitaria. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato quello dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. “Rapporti credibili indicano che le tensioni e la violenza sono in aumento ad Al Fashir, nel Darfur, e nei suoi dintorni. Facendo eco al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’Ue esorta le parti in conflitto ad astenersi dall’attaccare la città e i suoi dintorni e a ridurre le rispettive operazioni militari”, si legge in una dichiarazione, secondo cui i combattimenti nella zona avrebbero conseguenze devastanti.

“Recentemente i villaggi sono stati rasi al suolo dalle Forze di supporto rapido in una probabile campagna di pulizia etnica contro la tribù zaghawa, mentre bombardamenti aerei indiscriminati da parte delle Forze armate sudanesi hanno provocato la morte di numerosi civili. L’Ue rinnova il suo appello ai belligeranti affinché pongano fine al conflitto armato e consentano il libero accesso umanitario. Continueremo a sanzionare coloro che perpetuano l’instabilità e l’insicurezza e ostacolano la consegna degli aiuti umanitari. Coloro che hanno commesso e continuano a commettere atrocità contro il popolo sudanese saranno ritenuti responsabili delle loro azioni”, conclude la dichiarazione.

In precedenza erano stati gli Usa a lanciare un appello a tutti i Paesi, compresi gli Emirati Arabi Uniti, affinché smettano di fornire sostegno alle parti in guerra in Sudan. L’ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha affermato in una nota che l’esercito sudanese e le rivali Rsf stanno entrambi ricevendo sostegno, portando alla distruzione del Sudan e allo sfollamento di milioni di persone. Prima ancora, la scorsa settimana, il dipartimento di Stato Usa aveva chiesto a tutti gli attori in Sudan di porre “immediatamente” fine agli attacchi ad Al Fashir, affermando in una nota che le autorità di Washington sono “in allarme” a causa dei segnali di una “imminente offensiva” delle Rsf e delle milizie che le sostengono. “Una operazione del genere metterebbe in serio pericolo l popolazione civile e i rifugiati che si trovano nell’area”, si legge nel comunicato, in cui gli Stati Uniti condannano gli attacchi dellemilizie legate alle Rsf in diversi villaggi nel Darfur settentrionale e i bombardamenti effettuati nella regione dalle Saf.

Sempre la scorsa settimana anche le Nazioni Unite si sono dette sempre più preoccupate per un possibile attacco imminente ad Al Fashir, capitale del Darfur settentrionale, da parte delle Rsf, le milizie da un anno in conflitto con le Forze armate sudanesi (Saf). “Secondo quanto riferito, le Forze di supporto rapido stanno circondando Al Fashir, suggerendo che una mossa coordinata per attaccare la città potrebbe essere imminente. Allo stesso tempo, le Forze armate sudanesi sembrano posizionarsi”, ha affermato in una nota il portavoce delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric. “Un attacco alla città avrebbe conseguenze devastanti per la popolazione civile.

Questa escalation di tensione avviene in una zona già sull’orlo della carestia”, ha aggiunto il portavoce. “Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, invita nuovamente tutte le parti ad astenersi dai combattimenti nell’area di Al Fashir”, ha detto il portavoce, aggiungendo che il suo inviato in Sudan, Ramtane Lamamra, sta lavorando per allentare la tensione. La lotta per il controllo di Al Fashir, considerato uno snodo strategico, potrebbe essere prolungata, e rischia d’infiammare ulteriormente le tensioni etniche emerse nel conflitto del Darfur, nei primi anni Duemila, e di estendersi oltre il confine con il Ciad.

Nel frattempo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, su richiesta del Regno Unito, ha rinviato fino a maggio le deliberazioni sulla denuncia del Sudan contro gli Emirati. In una dichiarazione trasmessa alla televisione di Stato sudanese, l’ambasciatore del Sudan all’Onu, Al Harith Idris, ha affermato che il rinvio è stato dovuto ufficialmente alla mancanza della traduzione inglese della denuncia, di conseguenza il formato della riunione è stato modificato in consultazioni a porte chiuse. Il tutto fa seguito ad una rivelazione del quotidiano britannico “The Times” secondo cui le autorità emiratine hanno annullato una serie di incontri in agenda con i ministri del Regno Unito come forma di protesta per le accuse rivolte al governo di Abu Dhabi di finanziare e sostenere le Rsf nel conflitto in Sudan.

In una lettera presentata a marzo, il rappresentante del Sudan presso le Nazioni Unite, Al Harith Idris, ha invitato il Consiglio di sicurezza a condannare gli Emirati per aver presumibilmente fornito alle Rsf armi, veicoli e sostegno finanziario. Nella denuncia, l’ambasciatore si è detto convinto del coinvolgimento attivo degli Emirati nell’escalation del conflitto e nella fornitura di attrezzature militari alle Rsf attraverso il Ciad. Il riferimento al mancato sostegno espresso dal Regno Unito agli Emirati segue di pochi giorni un articolo pubblicato sul quotidiano “The Guardian”, che aveva riferito di colloqui segreti tenuti dal governo con le stesse Rsf. Accuse che erano state però respinte da Abu Dhabi. In una lettera inviata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la rappresentante emiratina all’Onu, Lana Nusseibeh, ha definito le accuse “prive di fondamento” e un tentativo di distrarre dalla crisi umanitaria causata dai combattimenti.

Il governo emiratino, ha ribadito, non interferisce negli affari interni di altri Paesi e rimane impegnato per una soluzione pacifica del conflitto sudanese. Il Consiglio di sicurezza si deve ancora esprimere sulla richiesta di condanna sudanese, ma sull’onda di questa polemica Khartum ha rifiutato la partecipazione degli Emirati Arabi Uniti al prossimo incontro di Gedda, dove si prevede che le parti in guerra riprenderanno i colloqui di pace. Come riferito dalla coalizione civile Taqaddum, guidata dall’ex premier civile del Sudan Abdalla Hamdok, lo scorso 19 aprile l’esercito e le Rsf si sono impegnati a riprendere i negoziati nella città saudita “entro le prossime due settimane”, senza precondizioni. Accuse a carico di Abu Dhabi per un suo coinvolgimento nel conflitto a sostegno delle Rsf erano già state formulate la scorsa estate.

A metà agosto, gli Emirati Arabi Uniti hanno smentito le accuse relative all’invio di “armi e munizioni alle parti coinvolte nel conflitto in Sudan”. Lo ha dichiarato il direttore del Dipartimento per la comunicazione strategica presso il ministero degli Esteri degli Emirati, Afra Mahsh al Hamli, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa emiratina “Wam”. Il riferimento è a un articolo, pubblicato il 13 agosto dal “Wall Street Journal”, secondo cui Abu Dhabi avrebbe fornito armi alle Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Mohammed Hamdan Dagalo invece di aiuti umanitari. Gli Emirati “non hanno fornito armi e munizioni a nessuna parte belligerante in Sudan, dall’inizio del conflitto nell’aprile 2023”, ha dichiarato Al Hamli, sottolineando che Abu Dhabi non prende posizione per nessuno degli attori coinvolti, ma, al contrario, cerca di porre fine alle ostilità ed esorta al dialogo e al rispetto della sovranità del Paese.

“Gli Emirati hanno sempre sostenuto la via del processo politico in Sudan e gli sforzi per giungere a un consenso nazionale, in vista della formazione di un governo”, ha detto Al Hamli, aggiungendo che Abu Dhabi auspica un accordo per il cessate il fuoco, al fine di ripristinare la sicurezza e la stabilità nel Paese. Al Hamli ha ricordato la creazione di un ponte aereo che – all’epoca dei fatti – ha consentito di fornire alla popolazione del Sudan circa 2 mila tonnellate di forniture mediche e alimentari e la costruzione di un ospedale da campo nella città di Amdgrass, in Ciad, per fornire assistenza medica “a coloro che ne hanno bisogno, indipendentemente dall’appartenenza nazionale, dall’età, dal genere o dall’affiliazione politica”.