Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 04/01/2023
Martedì 2 gennaio le Forze di supporto rapido (Rsf) e il Coordinamento delle forze civili democratiche (Taqaddum) – piattaforma che racchiude più di 60 rappresentanti di partiti politici, comitati civici, sindacati, organizzazioni della società civile e figure indipendenti sudanesi – hanno infatti firmato ad Addis Abeba, in Etiopia, una dichiarazione volta a tracciare una tabella di marcia per fermare le ostilità e proteggere i civili dal conflitto scoppiato nell’aprile scorso. La dichiarazione è il risultato di un incontro della durata di due giorni avvenuto nella capitale etiope tra le delegazioni delle due parti.
A quasi nove mesi dall’inizio delle ostilità, un pur flebile segnale di speranza sembra provenire dal Sudan. Martedì 2 gennaio le Forze di supporto rapido (Rsf) e il Coordinamento delle forze civili democratiche (Taqaddum) – piattaforma che racchiude più di 60 rappresentanti di partiti politici, comitati civici, sindacati, organizzazioni della società civile e figure indipendenti sudanesi – hanno infatti firmato ad Addis Abeba, in Etiopia, una dichiarazione volta a tracciare una tabella di marcia per fermare le ostilità e proteggere i civili dal conflitto scoppiato nell’aprile scorso.
La dichiarazione è il risultato di un incontro della durata di due giorni avvenuto nella capitale etiope tra le delegazioni delle due parti, guidate rispettivamente dal generale Mohamed Hamdan Dagalo (noto anche come “Hemeti”) e dall’ex premier Abdallah Hamdok, attuale capo dell’organismo direttivo della piattaforma Taqaddum. Il documento – noto come Dichiarazione di Addis Abeba – prevede una serie di punti e procedure per proteggere i civili e fermare le ostilità, incluso l’impegno delle Rsf a fermare incondizionatamente le ostilità attraverso negoziati con le Forze armate sudanesi (Saf).
In base al documento, le Rsf hanno inoltre accettato di rilasciare 451 prigionieri come gesto di “buona fede”. L’accordo prevede anche l’apertura di percorsi sicuri nelle aree controllate dalle Rsf, la fornitura di garanzie per facilitare il lavoro delle organizzazioni non governative e la preparazione delle condizioni per un ritorno sicuro dei cittadini alle loro case a Khartum e negli Stati del Darfur e del Kordofan.
Le due parti, prosegue la Dichiarazione, hanno inoltre concordato di formare amministrazioni civili e un comitato nazionale per la protezione dei civili, oltre che di cooperare con il comitato d’inchiesta internazionale istituito dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, attraverso la formazione di un comitato nazionale per indagare sulle cause che hanno scatenato la guerra.
Il documento contiene anche questioni relative allo scenario post-conflitto, inclusa la garanzia dell’unità del Sudan e della parità di cittadinanza tra tutti i sudanesi, oltre che di un sistema governativo federale, civile e democratico. La Dichiarazione prevede anche l’attuazione di un programma globale per ricostruire il settore della sicurezza, che oltre alle parti in conflitto comprende anche la polizia e il Servizio generale di intelligence. L’incontro di Addis Abeba si è svolto in risposta all’invito rivolto dalla piattaforma Taqaddum a entrambe le parti in conflitto. La fazione dell’esercito, guidata dal capo del Consiglio sovrano e comandante delle forze armate Abdel Fattah al Burhan, ha tuttavia declinato l’invito e non ha inviato alcuna delegazione ad Addis Abeba. Un’assenza che fa sì che il documento firmato dalle due parti sia destinato – almeno per il momento – a restare poco più che una dichiarazione d’intenti. Ammesso che venga rispettato, infatti, esso entrerebbe in vigore soltanto nelle aree controllate dalle Rsf, vale a dire l’intera regione del Darfur (ad eccezione del Darfur settentrionale), gran parte dello Stato di Gezira e alcune aree della capitale Khartum. Ciò nonostante, l’intesa siglata ad Addis Abeba potrebbe costituire una base di partenza per un vero e proprio negoziato in vista di un cessate il fuoco che, tuttavia, si preannuncia complesso e tutt’altro che scontato.
Un passo decisivo in tal senso potrebbe avvenire qualora fosse confermato l’incontro tra Al Burhan e Dagalo, che dovrebbe tenersi la prossima settimana a Gibuti sotto la mediazione dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad). Il condizionale resta comunque d’obbligo dal momento che l’incontro, inizialmente programmato per lo scorso 28 dicembre, è stato in seguito rinviato per non meglio precisati “motivi tecnici”.
Se la riunione di Gibuti fosse confermata, si tratterebbe del primo incontro faccia a faccia tra Burhan e Dagalo dallo scoppio del conflitto. Nel frattempo, in attesa di ulteriori sviluppi, Dagalo sta compiendo un tour che dalla fine di dicembre lo ha visto fare tappa, prima che in Etiopia, negli Emirati Arabi Uniti, in Uganda, in Ghana e a Gibuti, nel tentativo evidente di accreditarsi come possibile guida del Paese dopo la fine del conflitto.
Nella giornata di oggi, invece, il generale “Hemeti” si è recato a Nairobi per incontrare il presidente keniota William Ruto. Il tutto mentre a Gibuti è arrivata la delegazione della piattaforma Taqaddum per incontrare il presidente Ismail Omar Guelleh, che detiene la guida di turno dell’Igad.