SUDAN: SALE LA TENSIONE A KHARTUMSI DIMETTE L’INVIATO SPECIALE ONU

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 15/09/2023.

Cresce la tensione in Sudan. Mentre prosegue, inesorabile, il conflitto scoppiato lo scorso 15 aprile tra le Forze armate sudanesi (Saf) e le Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo, nelle ultime ore l’escalation ha conosciuto un nuovo episodio con le dimissioni dell’inviato speciale delle Nazioni Unite in Sudan, Volker Perthes, da tempo nel mirino del governo sudanese. Durante un briefing con gli ambasciatori tenuto a margine del Consiglio di sicurezza Onu, Perthes ha annunciato la rinuncia al suo incarico in via definitiva. “Sono grato al segretario generale per questa opportunità e per la sua fiducia in me, ma gli ho chiesto di sollevarmi da questo incarico”, ha detto Perthes, avvertendo che il conflitto “potrebbe trasformarsi in un guerra civile su vasta scala”. “Ciò che era iniziato come un conflitto tra due formazioni militari potrebbe trasformarsi in una vera e propria guerra civile”, ha avvertito Perthes. “Spesso i bombardamenti aerei indiscriminati vengono condotti da chi ha una forza aerea, ovvero le Saf (Forze armate sudanesi). La maggior parte delle violenze sessuali, dei saccheggi e degli omicidi avvengono in aree controllate dalle Rsf (Forze di supporto rapido) e sono condotti o tollerati dalle Rsf e dai loro alleati”, ha affermato durante il suo ultimo briefing al Consiglio, denunciando inoltre che entrambe le parti stanno arrestando, detenendo e “perfino torturando civili” arbitrariamente, e che ci sono state segnalazioni di uccisioni extragiudiziali.

Le dimissioni di Perthes seguono mesi di forti tensioni con le autorità sudanesi. Nel giugno scorso il governo di transizione di Khartum lo aveva dichiarato “persona non grata” e, secondo quanto denunciato pubblicamente dall’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Linda Thomas Greenfield, aveva addirittura minacciato la partenza della missione Onu qualora Volkers non avesse lasciato il Paese. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha affermato che Perthes ha “motivi molto forti per dimettersi e devo rispettare la sua volontà e accettare le sue dimissioni”. “Purtroppo stiamo assistendo a una serie infinita di terribili combattimenti con conseguenze drammatiche sulla popolazione civile e questo è assolutamente intollerabile”, ha aggiunto durante una conferenza stampa. “Penso che la comunità internazionale debba unirsi per dire a coloro che stanno guidando la guerra in Sudan che devono fermarsi. Perché ciò che stanno facendo non è solo la distruzione del loro stesso Paese, ma rappresenta una seria minaccia alla pace e alla sicurezza regionale”, ha aggiunto.

Ufficialmente, il governo sudanese non ha l’autorità di dichiarare indesiderabili gli inviati delle Nazioni Unite o di espellerli dal Paese. Secondo la Carta delle Nazioni Unite, infatti, gli Stati membri sono obbligati a rispettare i funzionari Onu e solo il segretario generale ha l’autorità di ritirare il personale. La decisione del Sudan di dichiarare Perthes “persona non grata” ha dunque gravemente compromesso il lavoro dell’inviato speciale. Le tensioni erano iniziate a fine maggio, quando il capo del Consiglio sovrano sudanese, Abdel Fattah al Burhan, aveva accusato Perthes di aggravare il conflitto e ne ave- va chiesto la rimozione. Perthes ricopriva il ruolo di principale mediatore internazionale per il Sudan dal febbraio 2021, incaricato di trovare un accordo tra le numerose fazioni politiche del Paese su un percorso verso la democrazia e la pace. Tuttavia, un accordo del dicembre 2022 che Perthes aveva contribuito a negoziare è fallito quando sono iniziati i combattimenti tra le due fazioni, lo scorso 15 aprile.

Nel frattempo, proseguono senza sosta i combattimenti e i raid aerei nel Paese, suscitando la condanna unanime della comunità internazionale. In una nota, il dipartimento di Stato Usa ha condannato l’attacco lanciato lo scorso 10 settembre dall’aviazione sudanese in un mercato di Khartum, nel quale hanno perso la vita 43 persone, oltre ai bombardamenti che hanno colpito la città di Nyala, capitale del Darfur meridionale, nelle ultime settimane, e ha affermato di guardare con preoccupazione al recente incremento di attacchi aerei in Sudan, soprattutto nelle aree del Darfur e nella capitale Khartum, che hanno causato la morte di un grande numero di civili. “Entrambe le parti coinvolte nel conflitto sono responsabili di atti di violenza che hanno portato morte e distruzione in tutto il Paese: chiediamo nuovamente il rispetto delle norme umanitarie internazionali, con particolare attenzione alla tutela dei civili”, ha detto il portavoce del dipartimento, Matthew Miller.

La condanna segue la denuncia dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, che intervenendo alla riunione annuale del Consiglio per i diritti umani Ginevra ha parlato di attacchi a sfondo etnico perpetrati dalle Rsf del Sudan e dalle milizie arabe loro alleate, che hanno ucciso centinaia di persone nella regione del Darfur occidentale. “Nel Darfur occidentale gli attacchi a sfondo etnico perpetrati dalle Rsf e dalle milizie arabe alleate hanno provoca- to la morte di centinaia di civili non arabi, provenienti principalmente dalle comunità masalit,” ha dichiarato Turk. “Tali sviluppi riflettono un passato orribile che non deve ripetersi”, ha aggiunto, alludendo all’uccisione di circa 300 mila persone e allo sfollamento di oltre 2 milioni di persone nel conflitto in Darfur tra il 2003 e il 2008. Turk ha affermato che gli ultimi attacchi sono avvenuti principalmente a El Geneina, capitale del Darfur occidentale e la città più a ovest del Sudan, ma anche in almeno altre otto località, e ha aggiunto che le Rsf controllano ora tutte le località tranne due nel Darfur occidentale.

Secondo Turk ci sono stati anche “segnali preoccupanti” del coinvolgimento di altre milizie, spesso affiliate a linee tribali o etniche. “Le campagne di mobilitazione delle forze armate sudanesi rappresentano un rischio concreto di innescare tensioni intercomunitarie e di innescare ulteriori conflitti tra le comunità”, ha affermato Turk, sottolineando quella che ha definito “un’epidemia in corso di violenza sessuale legata al conflitto” dopo che il suo ufficio ha ricevuto rapporti credibili di 45 episodi che hanno coinvolto almeno 95 vittime, tra cui 75 donne, un uomo e 19 bambini. “Questa probabilmente è la punta dell’iceberg. La maggior parte degli autori del reato – circa il 78 per cento – erano uomini in uniforme delle Rsf o uomini armati affiliati alle Rsf”, ha detto. La scorsa settimana l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha dichiarato di aspettarsi che oltre 1,8 milioni di persone dal Sudan fuggi- ranno in cinque Paesi confinanti entro la fine dell’anno. La guerra in Sudan è iniziata quattro anni dopo che una rivolta popolare ha spodestato il presidente Omar al Bashir. Le tensioni tra l’esercito e le Rsf, che hanno organizzato congiuntamente un colpo di Sta- to nel 2021, sono sfociate in scontri nell’aprile scorso dopo il rifiuto da parte delle Rsf di venire integr te nelle forze armate sudanesi.