Un attentato nell’ex capitale Bujumbura riaccende le tensioni tra le comunità etniche

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 14/05/2024

BURUNDI: UNA SERIE DI ESPLOSIONI DI GRANATE

Sono rimasti, per ora, senza rivendicazione, ma hanno riacceso i sospetti sul vicino Ruanda gli attacchi che si sono verificati venerdì scorso, a Bujumbura, ex capitale del Burundi e principale snodo commerciale del Paese. Una serie di esplosioni di granate, la più importante avvenuta all’ex mercato cittadino, ha provocato tre morti e 38 feriti, cinque dei quali in gravi condizioni, seminando il panico fra i passanti. Prontamente condannato dal presidente e generale Evariste Ndayishimiye come “atto terroristico”, l’attacco è stato attribuito dalle autorità ai combattenti Red-Tabara (Resistenza per uno Stato di diritto in Burundi), gruppo ribelle che il governo considera sostenuto e finanziato dal Ruanda. In un rapido susseguirsi di reazioni, i Red-Tabara, prima, e Kigali, poi, hanno respinto le accuse formulate dal governo burundese, lamentando una distorsione dei fatti e un tentativo di distogliere l’attenzione dalle reali responsabilità governative sulla sicurezza dei cittadini.

In un comunicato pubblicato su X, i Red-Tabara hanno infatti respinto con forza “le menzogne del ministero (della Sicurezza pubblica) del Burundi, secondo le quali saremmo gli autori delle esplosioni di granate avvenute il 10 maggio a Bujumbura. Red-Tabara ricorda che non attacca civili innocenti”, scrive il gruppo, nato nel 2015 per opporsi al Consiglio nazionale per la difesa della democrazia – Forze per la Difesa della Democrazia (Cndd-Fdd), l’ex ribellione armata durante la guerra civile (1993-2003) e partito dominante in Burundi dal 2005. Il gruppo fa riferimento a quanto dichiarato in conferenza stampa dal portavoce del ministero della Sicurezza pubblica, Pierre Nkurikiye, sabato 11 maggio, quando ha additato come responsabile degli attacchi i Red-Tabara. “Queste dichiarazioni, fatte come ogni volta in fretta e furia, senza alcuna verifica, ci fanno interrogare sulla responsabilità del regime del Cndd-Fdd in questi crimini”, afferma il gruppo, invitando le autorità burundesi a “interessarsi piuttosto ai problemi di fondo che tormentano il popolo invece di trovare diversivi con pseudo-inchieste su crimini di sua propria responsabilità”.

La smentita dei Red-Tabara ha preceduto di un paio d’ore quella del governo del Ruanda, ritenuto dalle autorità burundesi il vero mandante degli attacchi. “C’è chiaramente qualcosa di sbagliato nel Burundi se il suo governo incolpa il Ruanda per le recenti esplosioni di granate a Bujumbura, una situazione con la quale il Ruanda non ha assolutamente alcun legame e nella quale non ha motivo di essere coinvolto”, si legge in un comunicato del governo di Kigali, in cui si afferma che “il Burundi ha un problema con il Ruanda, ma il Ruanda non ha problemi con il Burundi. Il Ruanda chiede al Burundi di risolvere i propri problemi interni e di non associarlo a questioni così spregevoli”. In un comunicato pubblicato oggi, l’associazione della diaspora burundese ha nel frattempo condannato con fermezza “la serie di attacchi terroristici” di Bujumbura ma ha esortato i cittadini a “non far ripiombare il Paese nel caos”, come accadde nel 2015 in occasione del fallito colpo di Stato del generale Godefroid Niyombareh.

“Esprimiamo la nostra gratitudine nei confronti del governo del Burundi per i suoi infaticabili sforzi per assicurare la sicurezza di tutti i cittadini”, si legge nella nota, in cui l’associazione si dice “profondamente rattristata ed indignata” dagli attacchi contro “civili innocenti” e ha espresso sostegno al governo per “il rapido intervento” dopo l’accaduto. L’associazione ringrazia anche le missioni diplomatiche accreditate in Burundi che hanno già condannato gli attacchi, esortando alla cooperazione ed a perseguire i responsabili. Nel suo comunicato, l’associazione della diaspora torna con la memoria agli attacchi perpetrati contro civili nel 2015, quando “dei nemici della pace hanno voluto far piombare il Paese nel caos facendo uso dello stesso modus operandi di demonizzazione delle istituzioni e violenza armata”, ed esorta i cittadini del Burundi “a restare uniti e denunciare simili manovre che vogliono solo farci ricadere nelle sofferenze del passato”.

Il riferimento è ai ripetuti scontri che dall’aprile del 2015 sono scoppiati a Bujumbura – allora capitale del Paese – tra le forze dell’ordine e gli oppositori del presidente Pierre Nkurunziza, che contestavano la sua candidatura per un terzo mandato poi ottenuto alle elezioni del 21 luglio, resa possibile da una modifica della Costituzione in vigore. Il 13 maggio di quell’anno un gruppo di militari guidati dal generale Godefroid Niyombareh tentò di prendere il potere in quello che fu poi dichiarato dal governo come un fallito colpo di Stato. Seguì un’ondata di arresti di Niyombareh e dei generali coinvolti, ma la spirale di violenza proseguì, culminando in una serie di omicidi – almeno 240 fra maggio e novembre secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite -, con esecuzioni extragiudiziali ed arresti arbitrari da parte delle forze di sicurezza, frequenti limitazioni della libertà di espressione e la fuga dal Paese di oltre 100 mila persone. L’episodio di conflitto fra Burundi e Ruanda sottintende tuttavia un altro, più profondo, conflitto regionale, quello che contrappone Kigali alla vicina Repubblica democratica del Congo (Rdc). Kinshasa accusa da tempo il governo del presidente Paul Kagame di fomentare gruppi di guerriglia sul proprio territorio, in particolare il Movimento del 23 marzo (M23). Accuse simili sono state formulate per quanto riguarda i Red Tabara – ribellione filo-tutsi originaria del Sud Kivu, provincia dell’est dell’Rdc – da parte del presidente Ndayishimiye.