Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 10/02/2024
Un primo risultato è il ritiro degli uomini della milizia Rada dallo scalo di Mitiga e dal porto di Tripoli
La prima visita in Libia del ministro degli Esteri della Turchia, Hakan Fidan, sembra già aver prodotto un primo, importante risultato. Le Forze di deterrenza speciale (Rada), milizia responsabile in estate di aspri scontri con la Brigata 444, un gruppo armato addestrato proprio dai turchi, ha annunciato l’8 febbraio, il ritiro dei propri uomini dall’aeroporto internazionale di Mitiga e dal porto marittimo di Tripoli, la capitale della Libia. Si tratta di uno sviluppo rilevante nei delicati equilibri delle “katiba” (milizie) libiche che si contendono il territorio della capitale.
Il complesso di Mitiga, infatti, ospita non solo l’unico scalo aereo civile che attualmente serve Tripoli, ma anche un’importante prigione dove sono detenuti oppositori politici e terroristi dello Stato islamico e una base aerea dalla quale partono i droni d’attacco di fabbricazioni turca. In un postsulla sua pagina ufficiale Facebook, la potente milizia Rada guidata dal comandante salafita Abdul Rauf Kara ha annunciato che il ritiro giunge “in conformità con l’attuazione della decisione del governo sulla regolamentazione delle misure di sicurezza dei porti marittimi e degli scali aerei”.
Il quotidiano libico “Al Wasat” ha riferito che una decisione emessa del primo ministro Abudlhamid Dabaiba lo scorso 15 gennaio ha abolito tutti i poteri concessi a qualsiasi organismo di sicurezza o amministrativo all’interno dei porti e degli aeroporti del Paese. Secondo Jalel Harchaoui, associate fellow presso il Royal United Services Institute, l’annuncio “non implica che Rada sia sul punto di rinunciare al controllo sulla prigione o di abbandonare il suo trinceramento nella vicina base aerea militare”. In un messaggio su X, l’esperto di Libia ha scritto che “Rada non rinuncerà alla sua capacità di monitorare i movimenti in entrata e in uscita dall’aeroporto civile di Mitiga”, pur ammettendo che “l’annuncio è simbolicamente potente”.
Nella sua prima visita ufficiale in Libia in qualità di ministro degli Esteri turco, lo scorso 7 febbraio, Fidan ha sottolineato il forte sostegno del governo di Ankara al Paese nordafricano, esprimendo il suo impegno per prevenire un nuovo conflitto e respingere la divisione tra est e ovest, annunciando anche la prossima apertura di un consolato a Bengasi. Secondo il quotidiano libico “Al Wasat”, la Turchia starebbe valutando la possibilità di modificare o integrare il Governo di unità nazionale di Tripoli, al dibattito in corso nel Paese per insediare a Tripoli un nuovo esecutivo in grado di traghettare il Paese alle auspicate elezioni libiche. “È chiaro che Ankara desidera un esecutivo unitario in grado di rappresentare tutte le regioni e le fazioni del paese, riconoscendo l’importanza di mantenere solidi accordi, come quelli sulla demarcazione dei confini marittimi, firmati in precedenza con Tripoli”, ha affermato il giornale.
La visita di Fidan è avvenuta peraltro a pochi giorni dall’atteso viaggio in Egitto del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, il primo dopo oltre dieci anni di gelo tra Il Cairo e Ankara anche (ma non solo) per le divergenze sul fascicolo libico. Secondo Valeria Giannotta, direttrice scientifica dell’Osservatorio Turchia del Centro studi di politica internazionale (Cespi), il viaggio di Fidan a Tripoli deve essere letto non solo nel quadro del rafforzamento delle relazioni bilaterali e degli investimenti, ma anche “in una più ampia prospettiva”. “Tra Libia e Turchia non ci sono mai stati problemi di attrito. Il Paese nordafricano può essere considerato una sorta di protettorato turco”, ha evidenziato l’esperta del Cespi ad “Agenzia Nova”.
Nel recente passato, tuttavia, la Libia è stata terreno di scontro tra Turchia ed Egitto. Come sottolineato da Giannotta, “da un qualche anno Ankara ha avviato una politica estera incentrata sulla normalizzazione delle relazioni”. Dopo la vittoria delle elezioni presidenziali dello scorso maggio, ha aggiunto, Erdogan “ha enfatizzato questo approccio politico per lo sviluppo di un Paese in grado di dialogare con tutti e di porsi come hub di sicurezza regionale”. “Il presidente turco si recherà in Egitto il 14 febbraio con una delegazione, per la prima volta dal 2013. Il Paese è uno dei player che hanno interessi nel Mediterraneo, e quindi di riflesso anche in Libia”, ha osservato l’esperta. “In questo senso la visita di Fidan funge anche da corollario”, ha quindi spiegato Giannotta, sottolineando inoltre come non sia casuale il recente annuncio del ministro turco sulla volontà di Ankara di aprire un consolato a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, controllata dal comandante in capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), generale Khalifa Haftar. “Questa mossa andrebbe a sigillare ulteriormente la presenza della Turchia in Libia e proteggere gli interessi di tutte le aziende turche presenti nel Paese nordafricano”, ha detto Giannotta. Secondo Giannotta, inoltre, è possibile sviluppare una collaborazione “funzionale” tra Italia e Turchia nell’ambito del contrasto ai flussi migratori irregolari che partono dalla Libia.
La presenza militare turca in Libia, garantita da un memorandum siglato tra Tripoli e Ankara nel 2019, può essere un valore aggiunto nella lotta all’immigrazione irregolare. E nell’ottica del Piano Mattei elaborato dal governo italiano per sviluppare un nuovo partenariato con i paesi del continente africano, come ha osservato l’esperta del Cespi, la Turchia “assume il ruolo di interlocutore privilegiato”. “Italia e Turchia possono adottare un approccio win-win. La cooperazione tra i due Paesi, se gestita bene, porterà i suoi frutti”, ha detto l’esperta del Cespi, ricordando anche la visita a Istanbul a gennaio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha discusso con il capo dello Stato turco, Recep Tayyip Erdogan, proprio del contenimento delle partenze dei migranti dalla Libia. La Turchia può vantare una forte influenza in Tripolitania, dove ha due basi militari: quella aerea di Al Watiya, situata a est di Tripoli e a circa 27 chilometri dal confine tunisino, e quella navale di Al Khums, a metà strada fra la capitale e la “città-Stato” di Misurata.
L’approvazione da parte del Parlamento turco per prolungare la missione militare in Libia di altri due anni, a partire dal 2 gennaio 2024, ha suscitato reazioni fredde da parte delle autorità i Bengasi, che tradizionalmente hanno avuto rapporti più stretti con la Russia. Un interessante articolo per il centro di ricerca Brookings Institution dell’ex inviata delle Nazioni Unite in Libia, la statunitense Stephanie Williams, ha suggerito che la fragile pace ancora in vigore nel Paese sia “preservata anche attraverso le intese raggiunte tra Russia e Turchia, che hanno raggiunto un modus vivendi. In cambio del mantenimento della pace, entrambi i paesi hanno potuto utilizzare i loro proxy libici per rafforzare ed estendere la propria presenza attraverso l’accesso privilegiato alle basi militari libiche e il mantenimento di forze ufficiali e mercenari”.
I russi, peraltro, hanno intensificato l’impegno in Libia con le numerose visite del vice ministro della Difesa a Bengasi (quattro in sei mesi) del viceministro russo Junus-bek Evkurov dopo l’improvvisa scomparsa del leader Wagner, Yevgeny Prigozhin nell’agosto 2023. Secondo Williams, Mosca potrebbe avere “ambizioni espansive” per stabilire basi militari nei porti orientali di Tobruk o Ras Lanuf. “Questo permetterebbe a Mosca di aumentare la sua presenza navale nel Mediterraneo e di minacciare ulteriormente la sicurezza dell’Europa”, conclude l’ex inviata Onu. Il quotidiano londinese “The Times” ha addirittura prospettato la possibile presenza di sottomarini nucleari russi nel porto di Tobruk. Uno scenario da incubo per la Nato, l’Alleanza atlantica di cui, è bene ricordarlo, fa parte anche la Turchia.