Etiopia, nuove violenze nell’Amhara: progetto federale sempre più a rischio

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 08/11/2023

AD UN ANNO DALLA FIRMA DELL’ACCORDO DI PRETORIA

Violenti combattimenti sono ripresi nella regione di Amhara, nell’Etiopia nord-occidentale, dove le milizie regionali Fano si oppongono allo scioglimento imposto dal governo di Addis Abeba e alla loro integrazione nelle file dell’esercito federale. L’obiettivo era uno dei punti concordati nell’accordo di Pretoria, che il 2 novembre dello scorso anno ha posto fine al sanguinoso conflitto del Tigré.

Nella guerra le milizie Fano, convintamente nazionaliste, erano state fedeli alleate delle ambizioni del premier Abiy Ahmed, sostenendo le sue truppe nel contenimento e nella repressione dei “ribelli” tigrini, ma finita la guerra le disposizioni federali non sono piaciute all’amministrazione di Bahar Dar. Ad un anno dalla firma di Pretoria, i punti di quell’intesa hanno finito per far riemergere tensioni preesistenti al conflitto, legate a contrapposizioni etniche e alla lotta per l’accesso a risorse naturali sempre più vitali in tempi di forte siccità. Così, nel vasto territorio regionale – 150 mila chilometri quadrati, la metà dell’Italia – sono tornate ad affrontarsi le milizie a suon di armi pesanti e di violenze che finora hanno provocato lo sfollamento di migliaia di civili. Se le comunicazioni sono state sospese, rendendo la copertura dei fatti più difficoltosa, la scorsa settimana la Commissione etiope per i diritti umani (Ehrc) aveva lanciato l’allarme su una situazione di forte escalation, con bombardamenti effettuati tramite droni e perquisizioni casa per casa che hanno determinato finora l’uccisione di numerosi civili.

Il rapporto, pubblicato il primo novembre, ha documentato diversi episodi di esecuzioni extragiudiziali, ferimenti, sfollamenti e distruzione di proprietà da parte delle forze di sicurezza governative e delle milizie locali. Nel documento, l’Ehrc – un organismo istituito dal governo federale per monitorare le violazioni di diritti umani – afferma che le forze governative hanno preso di mira civili sospettati di essere associati alle forze Fano. Resoconti di testimoni oculari e cartelle cliniche hanno inoltre confermato che diversi civili sono rimasti feriti in un attacco di droni nella zona Nord Showa del distretto di Beheret, mentre un altro attacco di droni nella città di Debre Markos l’8 ottobre scorso ha causato la morte di otto civili. Il rapporto dell’Ehrc ha inoltre rivelato che il conflitto regionale ha provocato sfollamenti di massa di persone e distruzione di proprietà: secondo la commissione, almeno 3 mila persone sono state costrette a sfollare e a cercare rifugio nei campi di accoglienza organizzati ad Amora Bete Kebele, Metehera e Awash. A questo si aggiungono le denunce di saccheggi, incendi e distruzione di case, negozi, veicoli e raccolti appartenenti a civili da parte delle forze governative, senza contare le difficoltà affrontate da chi è rimasto: nella zona di North Showa, colpita a inizio ottobre da un violento bombardamento, almeno 219 mila studenti che avrebbero dovuto essere iscritti alla scuola dell’obbligo e 57 mila alle scuole secondarie e professionali non possono andare a lezione.


La situazione rischia di degenerare ulteriormente, inquadrandola a livello regionale. Durante il conflitto del Tigrè le forze Fano sono state sostenute dalle truppe eritree, che ugualmente hanno dato man forte al premier Ahmed contro i tigrini, loro storici avversari. Il rapporto di fiducia tra il premier etiope e il presidente eritreo Isaias Afwerki, faticosamente ricostruito con l’accordo di pace del 2018 ma andato via via indebolendosi durante il conflitto tigrino e soprattutto con le condizioni dell’accordo di Pretoria, rischiano tuttavia di alimentare ulteriormente le tensioni in un’area storicamente complessa.


La vicinanza della regione Amhara con territori dove periodicamente scoppiano conflitti intercomunitari – l’Oromia ed il Benishangul-Gumuz in testa – ha richiamato in passato l’attenzione della comunità internazionale, ma l’assenza di un dialogo a livello federale sulle rivendicazioni regionali finisce per far puntualmente riemergere vecchi dissapori, con la rischiosa conseguenza di nuovi conflitti armati. Uno scenario che mette a serio rischio il progetto di Stato federale che ha visto la luce in Etiopia nel 1991, anno della caduta del dittatore di lunga data Haile Mariam Menghistu. Da allora, infatti, le tensioni etiche – il Paese ospita al suo interno oltre 80 gruppi comunitari – non si sono mai sopite e si sono anzi riacutizzate con la salita al potere dello stesso Abiy Ahmed (il primo di etnia oromo) nel 2018.