Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 08/11/2023
Secondo il rapporto di AidData, il governo cinese in 22 anni ha finanziato oltre 20mila progetti in 165 Paesi a basso e medio reddito
Più della metà dei 1.100 miliardi di dollari di prestiti concessi dalla Cina a Paesi a basso e medio reddito è entrata nel periodo di rimborso del capitale, secondo uno studio pubblicato ieri da AidData, un laboratorio di ricerca dell’Università statunitense William & Mary.
Stando allo studio, circa il 55 per cento del debito in essere dovuto alla Cina dai Paesi in via di sviluppo, includendo il capitale ma escludendo gli interessi, è giunto a maturazione, e tale percentuale potrebbe salire al 75 per cento entro il 2030. Il dato – scrive il quotidiano “Nikkei” – contribuisce a spiegare i recenti tentativi di Pechino di ridurre la propria esposizione al debito in sofferenza: un segnale in tale senso è giunto il mese scorso durante la conferenza sulla Nuova via della seta (Belt and Road Initiative, Bri), che ha segnato il decimo anniversario dell’iniziativa. Per l’occasione, il governo cinese ha annunciato l’intenzione di promuovere d’ora in poi “progetti piccoli ma intelligenti”, dimostrando una crescente attenzione alla sostenibilità finanziaria dei grandi progetti avviati a partire dal 2013. Il rapporto di AidData è stato compilato sulla base dei dati relativi al sostegno allo sviluppo internazionale proveniente dalla Cina, che nel corso degli ultimi 22 anni ha finanziato oltre 20 mila progetti in 165 Paesi a basso e medio reddito tramite sovvenzioni e prestiti. La Cina non ha divulgato il totale del debito dovuto dai Paesi che hanno aderito alla Bri, iniziativa che ha coinvolto più di 150 nazioni e 30 organizzazioni internazionali fino a giugno 2023. Sebbene questi Paesi abbiano spesso tratto benefici concreti da progetti infrastrutturali, alcuni hanno generato significative problematiche di ordine finanziario. Pechino ha sempre respinto le accuse secondo cui i progetti della Nuova via della seta avrebbero causato “trappole del debito”, sostenendo invece che l’ini ziativa sia stata un motore senza precedenti per lo sviluppo globale.
Tuttavia, a dimostrazione di un riconoscimento almeno parziale delle problematiche finanziarie connesse all’iniziativa, la Cina ha dichiarato che i futuri progetti nell’ambito della Bri saranno “piccoli ma intelligenti”. Tramite questa formula, Pechino non ha fatto riferimento soltanto a progetti infrastrutturali di minore portata e ambizione, ma anche a una revisione delle modalità di finanziamento, con la concessione di prestiti sulla base di criteri di mercato e il ricorso a misure di mitigazione dei rischi. La Cina ha promesso anche di rafforzare la cooperazione multilaterale in settori come la lotta alla corruzione, la gestione delle finanze pubbliche e la fiscalità.
Il problema del debito con la Cina riguarda molti Paesi africani. L’Università di Boston ha pubblicato lo scorso settembre uno studio secondo il quale Pechino ha prestato ai Paesi africani 170 miliardi di dollari tra il 2000 e il 2022. Il volume degli investimenti cinesi nel continente ha però raggiunto il suo picco nel 2016, e da allora ha iniziato a contrarsi. Secondo lo stesso studio, nel 2021 la Cina ha concesso solo sette prestiti in Africa, per un valore complessivo di 1,22 miliardi di dollari, e nove lo scorso anno, per 994 milioni di dollari, il livello più basso dal 2004 a oggi. Il calo, stando agli esperti, non è legato solo alla pandemia di Covid, ma anche alla crescente preoccupazione a Pechino per la capacità dei Paesi africani di onorare i propri obblighi finanziari nei confronti della Cina. Lo Zambia ha dichiarato default alla fine del 2020, ma altri governi come il Ghana, il Kenya e l’Etiopia sono in difficoltà.
Per la Cina, le difficoltà finanziarie legate alla Bri hanno comportato ricadute d’immagine: il tasso di approvazione pubblica della Cina tra i Paesi meno sviluppati è sceso al 40 per cento nel 2021, dal 56 per cento registrato due anni prima. Secondo il rapporto di AidData, la Cina riceve anche una copertura mediatica internazionale meno favorevole. “Tuttavia, (la Cina) ha dimostrato di essere molto capace a ottenere e mantenere il sostegno della politica estera delle classi dirigenti” dei Paesi in via di sviluppo, afferma il rapporto. Contando i voti espressi nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite tra il 2000 e il 2021, AidData ha rilevato che i governi dei Paesi a basso e medio reddito allineano le loro posizioni di politica estera con la Cina nel 75 per cento dei casi, contro il 23 per cento degli Stati Uniti. A fronte dei complessi problemi finanziari posti dalla Nuova via della seta, Pechino sta comunque imparando dagli errori, e sta diventando “un gestore di crisi internazionale sempre più abile”, afferma AidData. Il governo cinese sta progressivamente esternalizzando la gestione del rischio a istituzioni estere con standard più rigorosi di due diligence, anziché fare affidamento sulle proprie banche nazionali. International Finance Corporation, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), Standard Chartered Bank and Bnp Paribas sono solo alcune delle istituzioni finanziarie internazionali cui Pechino ha sottoposto la valutazione di potenziali transazioni e finanziamenti. Pechino ha coinvolto anche alcune istituzioni finanziarie occidentali in accordi di finanziamento collaborativi, riducendo progressivamente il ricorso a strumenti di finanziamento bilaterali. Secondo il rapporto di AidData, il 50 per cento del portafoglio di prestiti non di emergenza concessi dalla Cina ai Paesi a basso e medio reddito è ora fornito tramite accordi di prestito sindacato, e più dell’80 per cento di questi accordi coinvolge banche commerciali occidentali e istituzioni multilaterali. Un’ulteriore misura cautelare assunta dalla Cina è l’impiego crescente di collaterali in contanti a garanzia dei prestiti bilaterali.