LA LIBIA E I RAPPORTI CON ISRAELE DABAIBA È SEMPRE PIÙ IN CRISI

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 30/08/2023

La notizia divulgata dagli israeliani dell’incontro “segreto” avvenuto la scorsa settimana a Roma tra i ministri degli Esteri Najla el Mangoush ed Eli Cohen, potrebbe avere pesanti conseguenze sulla stabilità del Governo di unità nazionale della Libia (Gun) e non solo. Proteste anti-governative e anti-israeliane si sono svolte nella capitale Tripoli e in altre città libiche come Zawiya e Misurata, sede di potenti milizie, ma chiedono anche le dimissioni del premier “ad interim”

Najla el Mangoush
Eli Cohen

La notizia divulgata dagli israeliani dell’incontro “segreto” avvenuto la scorsa settimana a Roma tra i ministri degli Esteri di Libia e Israele, rispettivamente Najla el Mangoush ed Eli Cohen, potrebbe avere pesanti conseguenze sulla stabilità del Governo di unità nazionale della Libia (Gun) e non solo. Proteste antigovernative e antisraeliane si sono svolte nella capitale Tripoli e in altre città libiche come Zawiya e Misurata, sede di potenti milizie che non solo rifiutano ogni normalizzazione con Israele, ma chiedono anche le dimissioni del premier “ad interim”, Abdulhamid Dabaiba.

Fonti libiche indicano che l’incontro informale tra Mangoush e Cohen era stato autorizzato dal capo dell’esecutivo, che ieri si è affrettato a visitare l’ambasciata palestinese a Tripoli, annunciando la rimozione di Mangoush dall’incarico e ribadendo un secco “no” a ogni tentativo di instaurare relazioni con lo Stato ebraico. Intanto, la ministra libica già oggetto in passato di critiche tanto a Tripoli quanto a Bengasi – è fuggita a Londra, dopo aver lasciato il Paese a bordo di un jet privato.

Non è chiaro se questo basterà a placare la rabbia popolare e, soprattutto, a sedare le milizie che minacciano di marciare su Tripoli. “Dabaiba può ancora sopravvivere. Sta cercando di resistere e tenterà ogni strada possibile per rimanere al potere”, commenta ad “Agenzia Nova” Jalel Harchaoui, associate fellow presso il Royal United Services Institute. Pochi giorni fa, l’esecutivo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite aveva subito un duro colpo dagli Stati Uniti, che per la prima volta avevano sostenuto l’idea di insediare un nuovo governo tecnico per traghettare il Paese alle elezioni, scaricando di fatto Dabaiba.

Non solo. A est, l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar ha rafforzato i rapporti con Mosca grazie alla visita a Bengasi del viceministro Yunus Bek Yevkurov. Una visita avvenuta poche ore prima della morte di Evgenij Prigozhin, leader del gruppo Wagner presente in Libia con diverse centinaia di mercenari tra le fila dell’Lna. Poco dopo, la Brigata Tariq bin Ziyad di Saddam Haftar, figlio dell’uomo forte della Cirenaica, ha lanciato un’operazione militare di terra e aerea contro i gruppi dell’opposizionene ciadiana e le milizie delle tribù Tebu nel Fezzan, la regione meridionale libica ricca di petrolio e miniere d’oro al confine con Ciad e Niger. Intanto la Camera dei rappresentanti libica – da tempo in rotta con il premier Dabaiba – ha raccomandato che il Comitato 6+6 per redigere le “regole” per andare alle auspicate elezioni (forse nel 2024) non permetta a chi abbia avuto contatti con Israele di candidarsi alle elezioni.

Tutti sviluppi che evidenziano come la Libia resti un Paese fragile, teatro di scontri e divisioni tra coalizioni politiche e militari rivali. Un Paese di fatto senza un governo eletto e difficilmente in grado di sopportare il “peso” di decisioni complesse e importanti come la normalizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico. Secondo il portale statunitense “Axios”, l’amministrazione del presidente Joe Biden stava lavorando alle relazioni tra lo Stato ebraico e l’ex Jamahiriyya di Muammar Gheddafi da due anni. In effetti, informazioni su un presunto incontro in Giordania tra il premier libico Dabaiba e il direttore del Mossad, David Barnea, erano trapelate a gennaio 2022. Ma erano state prontamente smentite da Tripoli senza particolare clamore. A stupire (e a irritare) stavolta è stato il carattere ufficiale del- l’annuncio del ministro Cohen. L’esposizione mediatica dell’incontro coperto da riserbo “non solo annienterà gli sforzi di normalizzazione tra Israele e Libia, ma danneggerà anche i tentativi in corso con altri paesi arabi”, aggiunge Axios, citando un funzionario statunitense.

Un riferimento, quest’ultimo, al “colpo diplomatico” a cui stanno lavorando gli Stati Uniti, ovvero la normalizzazione tra lo Stato ebraico e l’Arabia Saudita, il Paese custode dei luoghi sacri dell’Islam. Intanto, una fonte diplomatica israeliana ha aspramente criticato la decisione di rendere pubblica la notizia dell’incontro tra Cohen e Mangoush. “Questo è indice del dilettantismo con cui vengono gesti- te le relazioni internazionali. D’ora in poi i paesi che non hanno relazioni diplomatiche con Israele avranno paura di mantenere contatti segreti per il timore di farsi ingannare, visto che è stato dimostrato che la parte israeliana non sa come mantenere segreti gli incontri”, riferisce la fonte al sito web israeliano “Ynet”.

Il capo dell’opposizione di Israele e leader del partito Yesh Atid, Yair Lapid, ha definito la diffusione della notizia dell’incontro “amatoriale, irresponsabile e una grave mancanza di giudizio”. Vale la pena ricordare che a dicembre Cohen lascerà l’incarico a Israel Katz, come parte della classica turnazione nella compagine di governo. Finora, peraltro, il ruolo del capo della diplomazia è stato “oscurato” da Ron Dermer, ministro degli Affari strategici più vicino al premier Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo, molto irritato dall’accaduto, ha chiesto ai ministeri di coordinare in anticipo “incontri politici segreti” con il suo ufficio. “Cohen ha deciso di colpire il primo ministro Netanyahu, avendo come unico criterio la politica interna e ignorando tutto il resto, compresa la sicurezza nazionale del proprio Paese”, commenta infine Harchaoui.