Libia: annunciata la riunificazionedella Banca centrale, ma la strada è lunga

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’ Italia – 23/08/2023

Le ingenti quantità di denaro che la Libia ottiene dalla vendita degli idrocarburi (petrolio, gas condensati) finiscono nei conti della Libya Foreign Bank, posseduta al 100% dalla Banca centrale. Ma il problema è la divisione politica del Paese

L’ annuncio della riunificazione della Banca centrale della Libia è colto con favore e incoraggiamento al livello internazionale, ma la strada verso la reale integrazione delle istituzioni finanziarie dell’est e dell’ovest appare ancora lunga. Il processo per riunire sotto un’unica autorità le banche di Tripolitania e Cirenaica – rispettivamente le regioni occidentali e orientali del Paese, governate da autorità rivali – è di fatto ancora in itinere.

Già diverse volte in passato erano stati fatti annunci simili, ma la situazione è rimasta praticamente immutata a quasi tre anni dal cessate il fuoco tra le forze di Tripoli e l’esercito del generale Khalifa Haftar dell’ottobre 2020. Le ingenti quantità di denaro che la Libia ottiene dalla vendita degli idrocarburi (petrolio, gas condensati) finiscono nei conti della Libya Foreign Bank, posseduta al 100 per cento dalla Banca centrale. Questi fondi vengono poi spesi attraverso quattro capitoli di bilancio – sti- pendi, sovvenzioni, spese operative e progetti di sviluppo – che teoricamente dovrebbero includere tutte le regioni del Paese. Il problema è la divisione politica del Paese.

Il budget del Governo di unità nazionale di Tripoli (Gun) non è mai stato approvato dalla Camera dei rappresentanti che si riu-nisce a Bengasi. Per ovviare a questo dilemma è in vigore un esercizio provvisorio mensile, che consente cioè di spendere ogni mese fino a un dodicesimo di quanto previsto nel bilancio dell’anno precedente. In base all’ultimo bilancio disponibile (2022), la spesa mensile del Gun non dovrebbe essere superiore a 7,16 miliardi di dinari, equivalenti a poco più di 1,36 miliardi di euro.

Fonti libiche di “Agenzia No- va” riferiscono che il Gun prende in considerazione un bilancio di circa 100 miliardi di dinari, pari a 19 miliardi di euro, per una spesa mensile di 1,5 miliardi di euro. Il meccanismo di entrate e uscite della Libia è, per così dire, poco trasparente e nessuno sa quanto realmente spende il go- verno riconosciuto dall’Onu e quanto viene trasferito alle autorità dell’est. Sta di fatto che la riunificazione della Banca centrale della Libia è considerata da tutti gli esperti la chiave per risolvere la crisi politica e di sicurezza del Paese membro del Cartello petrolifero Opec+.

La novità di domenica scorsa, 20 agosto, è l’apertura di linee di credito per le banche commercia- li dell’est della Libia, che potranno dunque attingere liquidità a ovest direttamente dalla Banca centrale di Tripoli. Dopo essere state a lungo “spremute” dal go- verno parallelo dell’est, che ha fatto ricorso anche a metodi di finanziamento poco ortodossi come la stampa di dinari libici in Russia (che secondo varie fonti continua ancora oggi) e i prestiti forzosi (originando un imponente debito che deve ancora essere coperto), per la prima volta gli istituti di credito della Cirenaica potranno rifornirsi anche ad est. Più che una riunificazione, però, si tratta di una sorta di “condominio” del sistema finanziario libico, con l’ovest che continuerà a svolgere il ruolo di amministratore. E’ comunque un passo in avanti, ma è ancora presto per parlare di una reale unificazione dell’intricato sistema finanziario libico.

A ovest, comunque, molti sono restii a dare soldi all’Esercito nazionale libico che fino a tre anni fa bombardava Tripoli con l’ausi- lio dei mercenari russi del gruppo Wagner. A est, lamentano il monopolio e la scarsa trasparenza delle entrate statali derivanti in larga misura anche dai giacimenti che si trovano in Cirenaica.

Da parte sua, la Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Li- bia (Unsmil) ha subito espresso la speranza che l’annuncio possa contribuire a dare “nuovo slancio agli sforzi volti a unificare tutte le istituzioni politiche, di sicurezza e militari del Paese nordafricano, al fine di soddisfare le aspirazioni di lunga data del popolo libico”. Anche la Lega degli Stati arabi ha accolto con favore l’annuncio della riunificazione della Banca centrale da parte del governatore di Tripoli, Al Siddiq al Kabeer, e del suo vice a Bengasi, Mari Moftah, esprimendo la propria disponibilità a fornire “assistenza tecnica”. L’ambasciata degli Stati Uniti in Libia, che da tempo lavora dietro le quinte a un meccanismo di distribuzione delle risorse pubbliche più equo e meno sbilanciato in favore di Tripoli, ha affermato in un comunicato che l’unificazione della Banca centrale è “un passo fondamentale” per raggiungere la stabilità economica e lo sviluppo in Libia.

La rappresentanza diplomati- ca Usa ha altresì auspicato il raf- forzamento del sistema antiriciclaggio, maggiori controlli sul finanziamento del terrorismo e passi decisivi contro il mercato nero e la questione relativa alla valuta. Anche l’ambasciatore uscente dell’Unione europea, lo spagnolo José Sabadell, ha accolto con favore l’iniziativa della Banca centrale della Libia, chiedendo però che sia seguita da “un lavoro politico e tecnico per garantire la promozione della trasparenza e l’equa distribuzione dei proventi petroliferi tra tut- ti i libici come base per la pace e la prosperità che la Libia merita”.

Dal febbraio 2022, l’ex Jamahi- riya di Muammar Gheddafi è sostanzialmente divisa in due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, ormai ridotto a una scatola vuota priva di funzioni, dal momento che a comandare nell’est è il generale Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu – il senegalese Abdoulaye Bathily – aveva lanciato, il 27 febbraio scorso, un piano per redigere gli emenda- menti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e tra- sparenti” entro il 2023. Tuttavia, il termine ultimo proposto da Bathily per preparare la tabella di marcia è scaduto il 15 giugno e lo stesso inviato ha detto che lo “status quo” non è più tollerabile. Martedì 25 luglio, la Camera dei rappresentanti eletta nel 2014 ha approvato a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, una roadmap per l’insediamento di un ipotetico nuovo mini-governo, incaricato di traghettare la Libia alle elezioni. Le Nazioni Unite e le capitali occidentali hanno però accolto con estrema freddezza la decisione, al contrario invece dell’Egitto, alimentando i dubbi sull’eventuale riconoscimento internazionale del nuovo esecutivo di transizione, qualora quest’ ultimo dovesse essere effettivamente nominato. Ora come ora, in Libia vige una stabilità parziale, basata su un implicito accordo tra due potenti famiglie – i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est) – con un crescente ruolo dei “verdi” (vale a dire gli ex gheddafiani) nei gangli dello Stato profondo.