NASCE LA “NATO” AFRICANA CON MALI, NIGER E BURKINA FASO

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 19/09/2023

Le giunte militari in Mali, Niger e Burkina Faso, salite al potere tramite dei colpi di Stato negli ultimi tre anni, hanno siglato un accordo di mutua difesa contro le minacce del terrorismo e quelle di qualsiasi attacco esterno alle rispettive sovranità. Alla presenza dei leader militari che oggi guidano i governi di Bamako, Niamey e Ouagadougou – il colonnello Assimi Goita, il generale Omar Tchiani e il capitano Ibrahim Traoré – le parti si sono impegnate in un documento articolato in 17 punti a combattere il terrorismo in tutte le sue forme, a collaborare per prevenire o sedare le ribellioni armate e a contrastare la criminalità organizzata nello spazio comune dell’alleanza. “Qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti”, si legge nel testo.

Al documento, firmato a Bamako, è stato dato il nome di Carta del Liptako-Gourma, la regione in cui si incontrano i confini dei tre Paesi firmatari, nota anche come “zona delle tre frontiere”, al centro negli ultimi anni di rinnovate violenze jihadiste. La così rinominata “Alleanza degli Stati del Sahel” (Aes) rinsalda, di fatto, le promesse di cooperazione già espresse negli ultimi mesi dai leader militari dei tre Paesi, e struttura in modo formale il sostegno offerto a Niamey da Mali e Burkina Faso in caso di attacco da parte della forza di riserva della Comunità dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao), truppe che il blocco regionale ha deciso di attivare come ultima opzione – in caso di fallimento dell’opzione diplomatica – per riportare al potere il presidente deposto Mohamed Bazoum. La Carta descrive nel dettaglio le future relazioni tra Mali, Burkina Faso e Niger, impegnando i tre Paesi a non attaccarsi a vicenda. L’articolo 11 mantiene inoltre la porta aperta all’adesione di “qualsiasi altro Stato che condivida le stesse realtà geografiche, politiche e socio culturali” dei Paesi fondatori, in quella che appare una sorta di “Nato” africana avente l’obiettivo di unire le forze contro le varie forme di terrorismo attive nella regione. Il riferimento va in particolare alla “ribellione armata”, come precisato nell’articolo 5 e sottolineato ai giornalisti anche dal ministro degli Esteri maliano Abdoulaye Diop, il cui governo è impegnato da fine agosto a contrastare l’offensiva dei combattenti tuareg riuniti nella Coalizione dei movimenti dell’Azawad (Cma).

Questi accusano la giunta di aver violato l’accordo di pace concluso nel 2015 ad Algeri con l’allora governo civile di Bamako, sfruttando la scusa del terrorismo per riappropriarsi di territori da loro rivendicati. L’obiettivo della Carta è, in linea generale, quello di “istituire un’architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni”, ha dichiarato su “X” (l’ex Twitter) il presidente di transizione maliano Goita. A stretto giro è arrivata la dichiarazione dell’omologo burkinabé Traoré, per il quale “la creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel segna una tappa decisiva nella cooperazione tra Burkina Faso, Mali e Niger. Per la sovranità e lo sviluppo dei nostri popoli, guideremo la lotta contro il terrorismo nel nostro spazio comune, fino alla vittoria”, ha dichiarato.

Considerazioni analoghe sono state espresse dal leader militare nigerino Tchiani, rimasto più discreto sui social. I tre Stati fondatori dell’Alleanza del Sahel sono gli stessi – insieme al Ciad e alla Mauritania – che rientravano nel quadro di cooperazione regionale G5 Sahel, promosso dalla Francia per contrastare i gruppi armati jihadisti legati ad al Qaeda e allo Stato islamico.

Quest’ultima intesa – nota anche con il nome analogo di Coalizione per il Sahel – è andata tuttavia sgretolandosi negli ultimi tre anni quando, di golpe in golpe, la Francia è stata militarmente estromessa dalla regione su volontà delle giunte salite al potere. Parigi ha dovuto ripiegare prima dal Mali, dove la giunta golpista di Goita ha mantenuto con qualche cambiamento ai vertici le redini del Paese dal 2020, quindi dal Burkina Faso, e si accinge ora a ridurre la sua presenza anche in Niger. Una caduta, quella di Niamey, tanto più significativa per la presenza di 1.500 effettivi francesi, ora in via di ridistribuzione dai Paesi limitrofi, e per la presenza di basi logistiche strategiche, come quella statunitense di Agadez, la seconda per importanza in Africa dopo Gibuti. Dal Mali si stanno inoltre ritirando – sempre su volere della giunta militare al potere – le forze della Missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite (Minusma), rendendo necessaria una riorganizzazione militare a fronte di molteplici minacce. Secondo un rap- porto Onu, dal ritiro in Mali delle forze francesi ed internazionali i gruppi affiliati allo Stato islamico e ad Al Qaeda hanno infatti riconquistato la maggior parte delle aree prima coperte, con un cruento bilancio in vittime civili e militari.

La crisi in Niger e la crescente ostilità verso la Francia in una regione ormai quasi interamente nell’orbita russa sono al centro degli ultimi sviluppi in materia di sicurezza regionale. Il golpe in Niger ha colpito come mai prima al cuore la stabilità della regione subsahariana, e a testimoniarlo è la reazione dei Paesi confinanti. Dai tentativi di mediazione diplomatica dell’Algeria alla vigorosa risposta della Nigeria – che quest’anno guida la Cedeao e spinge per un intervento armato – fino alle dimostrazioni di solidarietà militare, più o meno dichiarate, non c’è Paese limitrofo al Niger che non abbia in qualche modo preso posizione sul golpe del 26 luglio e le sue conseguenze regionali. La giunta del generale Tchiani, da parte sua, ha interrotto gli accordi di cooperazione militare con il vicino Benin, sospettato di accogliere le truppe Cedeao mobilitate dalla Francia – di cui il presidente Patrice Talon è storico alleato – ai fini di un eventuale intervento su Niamey.

In un comunicato letto in diretta televisiva dal portavoce della giunta, Amadou Abdramane, i golpisti hanno accusato la Francia di aver dispiegato uomini e mezzi nei Paesi Cedeao – precisamente in Senegal, Costa d’Avorio e Benin – per “preparare un’aggressione contro il Niger che sta pianificando in collaborazione con l’organizzazione regionale”. Secondo Abdramane, aerei cargo militari hanno portato “grandi quantitativi di materiale bellico e di equipaggiamenti in Senegal, in Costa d’Avorio e Benin, solo per nominarne alcuni”. Sulla nuova alleanza militare siglata da Bamako, Niamey e Ouagadougou incombe infine l’ombra russa, Paese nella cui orbita le tre giunte sono da tempo scivolate. Da questo punto di vista il sodalizio più stretto è quello con il Mali, come testimoniano anche le due telefonate intercorse nel giro di una settimana – 10 e 16 agosto – fra il leader militare Goita ed il presidente russo, Vladimir Putin. Tutti i colloqui hanno avuto al centro questioni relative alla sicurezza regionale saheliana. Nel primo colloquio, avvenuto dopo la consegna a Bamako di diversi aerei ed elicotteri militari russi, secondo la nota del Cremlino il presidente di transizione del Mali ha espresso “gratitudine a Putin per il sostegno fornito dalla Russia”. La giunta maliana aveva ricevuto la vigilia diversi caccia L-39 e Su- 25, nonché elicotteri d’attacco Mi- 24P e Mi-8 e velivoli da trasporto tattico C-295. Nella telefonata successiva, avvenuta secondo Mosca su richiesta maliana, le parti hanno affrontato “specifica- mente la situazione nel Sahel e Sahara”. Il colloquio è stato commentato sui social anche da Goita, secondo il quale il presidente russo avrebbe auspicato una risoluzione pacifica della crisi nigerina “per un Sahel più stabile”. Se ufficialmente Mosca ha chiesto un ritorno all’ordine costituzionale in Niger, poche ore dopo il golpe il capo di Wagner, Evgenij Prigozhin, aveva accolto con favore la presa del potere dell’esercito e ha offerto i suoi servizi ai golpisti, tornando nella regione – precisamente in Mali, Repubblica Centrafricana e Sudan – qualche giorno prima di morire nello schianto dell’aereo che lo trasportava nella regione russa di Tver.