Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 10/11/2023
Non ha sortito gli effetti sperati il secondo round di colloqui per il cessate il fuoco in Sudan, concluso martedì scorso a Gedda sotto la mediazione di Arabia Saudita, Stati Uniti e Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad). Violenti combatti- menti sono infatti scoppiati ieri tra l’esercito sudanese e le Forze di supporto rapido (Rsf) nella città gemella di Khartum, Omdurman, segnando una drammatica escalation nel conflitto in corso tra le due parti dallo scorso 15 aprile. Secondo quanto riferiscono fonti citate dal “Sudan Tribune”, i combattimenti hanno coinvolto l’aviazione militare e le forze terrestri, colpendo diversi quartieri della città densamente popolata. Secondo fonti locali, l’esercito sudanese ha schierato consistenti unità militari nei quartieri di Omdurman, prendendo di mira le aree controllate dalle Rsf, tra cui il mercato popolare e il sobborgo di Um Badda, nella parte occidentale della città. Nel frattempo l’artiglieria delle Rsf ha reagito bombardando la zona militare dell’esercito su- danese nel nord di Omdurman. Numerosi proiettili sono caduti anche nei quartieri di Al Waha e Al Thawra, provocando ulteriori danni e vittime. Fonti mediche dell’ospedale Al Nao di Omdurman hanno confermato di aver ricevuto numero se vittime nel mezzo delle richieste urgenti di donazioni di sangue.
In un comunicato di questa mattina, le Rsf hanno inoltre affermato di aver inflitto “perdite sostanziali” alle Forze armate sudanesi (Saf) e ai suoi alleati, catturando un notevole quantitativo di armi e munizioni, quattro veicoli corazzati e 11 veicoli da combattimento completamente equipaggiati, oltre a “centinaia” di soldati e affiliati delle Saf. Nella capitale Khartum, intanto, i droni dell’esercito sudanese hanno lanciato attacchi aerei sulle posizioni delle Rsf nella zona aeroportuale nel quartiere Mujahideen, avvolgendo diverse aree in nuvole di fumo.
Gli scontri ad Omdurman e nell’area di Khartum non devono, però, far passare in secondo piano quanto sta accadendo da mesi nel Darfur, l’altra area “calda” del conflitto scoppiato lo scorso 15 aprile. È notizia dello scorso 2 novembre che le Rsf hanno annunciato di aver preso il controllo della base militare di Jadeed Alsail, nello Stato del Nord Darfur. In una nota, le Rsf hanno inoltre accusato le Forze armate sudanesi (Saf) di aver bombardato i cittadini del Nord Darfur con raid aerei. Il governatore del Darfur, Minni Minnawi, ha riferito che le autorità stanno contattando le due parti in conflitto per impedire che la città di Al Fashir – capoologo regionale – entri in guerra. Il go- vernatore del Nord Darfur, Nimer Mohamed Abdul-Rahman, ha chiesto ai residenti di Al Fashir di spostarsi dall’area degli scontri tra Saf e Rsf verso un’area sicura e di lavorare per fermare gli scontri in città. Fonti del Darfur occidentale hanno inoltre confermato che le Rsf si stanno preparano ad attaccare una base militare dell’esercito nel Darfur occidentale. I miliziani guidati dal generale Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo hanno preso inoltre il controllo della 21ma divisione delle Saf nello Stato del Darfur centrale, catturandone il comandante. In precedenza le Rsf avevano an- nunciato anche la presa dell’aeroporto di Balila, situato nello Stato del Kordofan occidentale.
I miliziani di Dagalo hanno inoltre confermato di controllare la base militare di Umkadadah, nel Nord Darfur, e hanno annunciato l’intenzione di attaccare presto la sesta divisione di fanteria ad Al Fasher, sempre nel Nord Darfur. Ma è nello Stato del Darfur occidentale che si concentrano maggiormente le preoccupazioni per i drammatici effetti che i combattimenti stanno avendo sulla popolazione civile, per via soprattutto della dimensione etnica che potrebbero assumere. Ieri, 8 novembre, la Missione integrata di assistenza alla transizione delle Nazioni Unite in Sudan (Unitams) ha denunciato gravi violazioni dei diritti umani commesse tra il 4 e il 6 novembre dalle milizie arabe alleate delle Rsf, in particolare nel quartiere Ardamata di El Geneina, capitale del Darfur occidentale. Gli abusi, afferma l’Unitams, sono avvenuti in seguito alla presa del controllo della base della 15ma divisione di fanteria delle Forze armate sudanesi, il quartier generale locale, e hanno preso di mira cittadini appartenenti alla comunità masalit. Inoltre, prosegue Unitams, prima della conquista della base le milizie arabe hanno condotto una campagna di arresti e detenzioni arbitrarie di persone sospettate di aver collaborato con le forze armate sudanesi.
Se, da parte loro, le Rsf respingono le accuse e negano di essere coinvolte in un qualsiasi “conflitto tribale”, migliaia di persone si sono date alla fuga dopo che gravi violenze sono state commesse dalle Rsf e dalle milizie arabe loro alleate ai danni di persone di etnia masalit. Gli stessi aggressori avrebbero attaccato un campo per sfollati interni a Erdamta, uccidendo circa 800 persone. Secondo quanto denuncia Medici senza frontiere (Msf), la maggior parte delle 7 mila persone che sono entrate in Ciad negli ultimi tre giorni sono donne e bambini che fuggono senza nulla. I combattenti delle Rsf sono per la maggior parte originari del Darfur. Il gruppo paramilitare ha conquistato vaste aree nella regione, prendendo il controllo di quattro dei cinque Stati della regione. Sembra dunque destinato a fallire anche il secondo round di colloqui in corso a Gedda, in Arabia Saudita, sotto la mediazione di Arabia Saudita, Stati Uniti e Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad). Nonostante gli sforzi, le due parti finora non sono riuscite a raggiungere un accordo di cessate il fuoco.
L’ultimo ciclo di colloqui, conclusosi martedì 7 novembre, ha portato solo ad un generico impegno a consentire l’accesso umanitario e ad attuare misure di rafforzamento della fiducia. Che il nuovo ciclo di negoziati, del resto, non avrebbe sortito alcun successo era facilmente pronosticabile. Gli obiettivi dei colloqui erano infatti circoscritti e in linea con la Dichiarazione di impegno di Gedda per la protezione dei civili dello scorso maggio: facilitare la fornitura di assistenza umanitaria, stabilire un cessate il fuoco e altre misure di rafforzamento della fiducia, promuovere una cessazione per- manente delle ostilità. Non sono state affrontate questioni politiche più ampie, lasciate ai “civili sudanesi”, poiché “non esiste una soluzione militare accettabile”, recitava il comunicato datato 29 ottobre.