Etiopia, il premier opera un rimpasto di governo per gestire la crisi nell’Amhara

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 10/02/2024

Ahmed ha scelto figure a lui vicine, con una solida esperienza politica e capaci di sostenerlo anche sul fronte internazionale

Nel tentativo di rafforzare la gestione federale di delicati dossier regionali e di accentrarne il controllo nelle mani di collaboratori fidati, il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha annunciato, a sorpresa, un rimpasto ai vertici di governo. Lo ha fatto calibrando le sue scelte sulla base di una precisa necessità di sicurezza nazionale, scegliendo figure a lui vicine, con una solida esperienza politica e capaci di sostenerlo senza esitazioni anche sul fronte internazionale. Così, il parlamento etiope ha approvato ieri le nomine a vicepremier del capo dell’Agenzia di intelligence nazionale (Niss), Temesgen Tiruneh, a ministro degli Esteri dell’ex ambasciatore presso le Nazioni Unite, Taye Atske Selassie, e quella del suo attuale consigliere per gli Affari di sicurezza nazionale, Redwan Hussein, a nuovo capo della Niss. Meno eclatante, ma parte dello stesso pacchetto di nomine, la sostituzione della ministra della Salute, Lia Tadesse, con Mekdes Daba, attualmente in servizio presso l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) a Ginevra.

La nomina del nuovo vicepremier e del ministro degli Esteri era stata preannunciata a gennaio dalle dimissioni di Demeke Mekonnen da vicepresidente del Partito della prosperità (Pp), attualmente al governo. Nel rimpasto Ahmed ha deciso di separare i due incarichi, che Mekonnen ricopriva entrambi dall’avvio della guerra nel Tigrè, nel 2020. Vicepremier dal 2012, prima dell’avvento al potere di Ahmed nel 2018, Mekonnen era stato in precedenza anche il numero due del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf), la coalizione che ha governato il Paese per quasi 30 anni prima dell’elezione di Ahmed.

Sullo sfondo delle nuove nomine sembra trapelare soprattutto la preoccupazione per una difficile gestione della regione degli Amhara, dove le temute milizie di autodifesa Fano – che hanno combattuto al fianco delle Forze di difesa etiopi (Endf) durante il conflitto del Tigrè – rifiutano di disarmarsi e di essere integrate nell’esercito federale, come stabilito dall’accordo di pace siglato a Pretoria nel novembre del 2022. Mekonnen era da tempo considerato il garante degli interessi del popolo amhara ad Addis Abeba, e non a caso i suoi sostituti hanno esperienza nella gestione dei turbolenti sviluppi locali. Le nomine di Tiruneh, Selassie e Hussein avvengono, peraltro, a pochi giorni dal rinnovo dello stato di emergenza nell’Amhara, misura dichiarata ad agosto e prorogata il 3 febbraio di altri quattro mesi che di fatto ha posto la regione sotto il controllo dei servizi di sicurezza.

La nomina di Tiruneh a vicepremier, in particolare, sembra voler mettere il dossier Amhara in mani esperte e pragmatiche. Ex presidente della regione degliAmhara ed attuale consigliere diplomatico di Ahmed, Tiruneh è una figura d’impronta risolutamente anti-tigrina, e non a caso Ahmed lo scelse come capo dell’intelligence l’8 novembre del 2020, all’avvio della guerra nel Tigré. Come avvenuto per Mekonnen, la fiducia accordatagli è dovuta al suo sostegno incondizionato al premier: in diverse occasioni il neo vicepremier ha promesso di “distruggere” il Fronte di liberazione popolare del Tigré (Tplf) – il partito tigrino poi dissolto dal governo federale perché dichiarato “terroristico” – e di “eliminarlo dalla faccia della terra”, sottolineando l’impegno della Niss – all’epoca dei fatti da lui diretta – a collaborare a questo scopo con la polizia federale e l’esercito. Ad agosto scorso, allo scoppio dei combattimenti nell’Amhara fra milizie Fano e truppe federali, fu ancora lui ad essere scelto per guidare il comitato di intelligence istituito per monitorare i quattro posti di comando in cui è stata divisa la regione. Nell’Amhara seguì allora un massiccio dispiegamento di truppe di terra sostenuto da raid aerei, con la denuncia da parte dei civili di diversi abusi attribuiti alle forze federali. Sotto questa luce non sorprende anche la scelta di Redwain Hussein, capo negoziatore sia nei colloqui che hanno portato all’accordo di Pretoria sul conflitto tigrino sia sul fronte dei meno conclusivi confronti con i ribelli dell’Esercito di liberazione oromo (Ola), un altro gruppo armato con il quale il governo federale ha rapporti complicati e tenta formalmente di avviare un dialogo. Hussein ha una lunga esperienza politica e ha contribuito ad ottenere alcuni successi politici storici di Ahmed: per primo quello della pace conclusa con Asmara nel 2018, anno in cui Hussein era ambasciatore in Eritrea. La sua capacità di dialogo lo aveva portato nel 2015 ad essere portavoce del governo oltre che capo del segretariato dell’Eprdf. Sulla recente crisi diplomatica apertasi con la Somalia in seguito all’accordo per l’accesso al mare firmato con il Somaliland, Hussein si è trovato più in difficoltà ma nelle ultime settimane ha fatto prova di apertura, almeno apparente: l’Etiopia, ha dichiarato, è “disposta ad ascoltare i Paesi amici”.

La nomina di Selassie a ministro degli Esteri rientra, infine, in una certa scaltrezza diplomatica tipica del premier etiope, insignito un anno prima della guerra del Nobel per la pace e, più di recente, di un discutibile riconoscimento della Fao per l’impegno sulla sicurezza alimentare. L’ex ambasciatore all’Onu ha l’arduo compito di difendere ai tavoli dei decisori internazionali un’immagine positiva del governo, sebbene nel suo precedente incarico di ambasciatore in Egitto, Selassie non sia riuscito a convincere Il Cairo – e neppure Khartum – del comune beneficio della contestata Grande diga della Rinascita etiope (Gerd). Sul fronte Amhara, però, il suo profilo potrebbe aiutare il governo etiope a gestire una crisi sulla quale il premier non può permettersi di perdere il controllo: amministrata dal Partito della prosperità, la crisi regionale si profila in prospettiva sempre più politica, e la sicurezza un elemento fondamentale sul quale investire per tenere il tutto in un – probabilmente precario – equilibrio.