Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 30/01/2024
Le forze statunitensi e britanniche hanno condotto significativi attacchi contro le postazioni degli Houthi in Yemen, con l’obiettivo di ridurre la capacità dei miliziani di attaccare le navi commerciali
La tensione nell’ampio Medio Oriente non si placa e il timore di un’escalation è sempre sul tavolo. Nelle ultime 24 ore, milizie irachene filo-iraniane hanno colpito una base Usa in Giordania, al confine con Siria e Iraq, un attacco a Damasco attribuito a Israele ha provocato la morte di almeno sette miliziani (tra cui alcuni appartenenti ai pasdaran iraniani) e i ribelli filo-iraniani yemeniti Houthi hanno colpito una nave statunitense nel Golfo di Aden. I tre episodi sono indirettamente collegati al conflitto in corso da più di tre mesi nella Striscia di Gaza tra il movimento islamista Hamas e Israele, dopo l’attacco del 7 ottobre. E’ proprio dal conflitto che ha innescato una crisi regionale che, tuttavia, oggi appaiono segnali incoraggianti. Secondo quanto riferito dall’emittente Usa “Nbc News”, i negoziatori di Stati Uniti, Israele, Egitto e Qatar hanno raggiunto un accordo a Parigi per il rilascio in diverse fasi dei 136 ostaggi in mano ad Hamas, in cambio di nuove pause dei combattimenti e della consegna di aiuti nella Striscia di Gaza. Una bozza dell’intesa sarebbe stata presentata oggi ad Hamas, che in passato aveva sempre insistito sulla necessità di un cessate il fuoco definitivo e immediato come precondizione per il rilascio degli ostaggi.
In base all’accordo raggiunto oggi, i primi ostaggi a essere liberati sarebbero donne e bambini. Ai colloqui di Parigi hanno preso parte il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al Thani, e i capi delle agenzie d’intelligence di Usa, Israele ed Egitto (William Burns per la Cia, David Barnea per il Mossad e Abbas Kamel per l’intelligence del Cairo). Non è chiaro quali siano i punti dell’intesa, né se le parti in causa – Israele e Hamas – abbiano accettato i punti. L’ufficio del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha rilasciato una dichiarazione che non nega che Israele abbia accettato un quadro per il rilascio degli ostaggi, ma afferma che “le notizie sull’accordo non sono corrette e includono condizioni che non sono accettabili per Israele”. Secondo un’indiscrezione pubblicata dall’emittente israeliana “Channel 12”, Israele avrebbe accettato una pausa di 45 giorni nei combattimenti in cambio di 35 ostaggi nella prima fase. Secondo il rapporto, per ogni israeliano rimandato a casa verrebbero rilasciati circa 100-250 prigionieri di sicurezza palestinesi.
In concomitanza con i colloqui di Parigi tra i vertici dell’intelligence di Israele, Stati Uniti, Egitto e Qatar, il portale statunitense “Axios” ha rivelato che i vertici della sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), dell’Arabia Saudita, della Giordania e dell’Egitto si sarebbero incontrati circa dieci giorni fa a Riad per elaborare un piano, volto a riportare la Striscia di Gaza – amministrata dal 2007 da Hamas – sotto il controllo di una Anp “riformata”, successivamente a una fase post bellica. Alla riunione avrebbero partecipato il consigliere per la sicurezza nazionale saudita, Musaed bin Mohammed al Aiban, il capo dell’intelligence palestinese, Majed Faraj, e rappresentanti degli 007 egiziani e giordani. Assenti, secondo “Axios”, i rappresentanti di Doha, principale sostenitore e mediatore di Hamas nei colloqui per il rilascio degli ostaggi. I capi della sicurezza dei tre paesi arabi hanno esortato la parte palestinese ad avviare serie riforme per rivitalizzare la sua leadership politica, secondo fonti citate da “Axios”, incluso il trasferimento di alcune funzioni dal presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, al primo ministro Muhammad Shtayyeh.
Dopo le elezioni del 2006, l’opposizione politica tra i due principali partiti politici palestinesi – Fatah e Hamas – si è concretizzata con il controllo del primo in Cisgiordania e del secondo a Gaza. In seguito all’attacco di Hamas in Israele il 7 ottobre 2023 e alla conseguente operazione militare israeliana a Gaza, si è aperto il dibattito sullo scenario post bellico nell’exclave palestinese. Da un lato, l’attuale governo israeliano esclude la possibilità che nel futuro di Gaza ci possa essere l’Anp, mentre parte dell’opposizione è in linea di principio favorevole. Dall’altro, gli Stati Uniti sostengono la riforma dell’Anp e la possibilità che governi Gaza nello scenario futuro. All’incontro avvenuto a Riad, il consigliere per la sicurezza nazionale saudita avrebbe ribadito che la monarchia del Golfo è ancora interessata a normalizzare le relazioni diplomatiche con Israele in cambio di passi concreti da parte di Tel Aviv verso la creazione di uno Stato palestinese, riferisce “Axios”. Infine, secondo il portale, due fonti hanno affermato che funzionari statunitensi e israeliani sarebbero stati informati dell’incontro e dei suoi contenuti da alcuni partecipanti. Inoltre, continua a tenere banco il tema delle infiltrazioni dei gruppi armati palestinesi nell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa).
Oggi il ministro degli Esteri di Israele, Israel Katz, ha annullato l’incontro previsto domani, 30 gennaio, con il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, invitandolo a “tirare le somme e dimettersi”. Lo ha scritto su X (ex Twitter) il capo della diplomazia israeliana, aggiungendo: “I sostenitori del terrorismo non sono i benvenuti qui”. “I dipendenti di Unrwa hanno partecipato alla strage del 7 ottobre”, ha aggiunto Katz, riferendosi all’attacco perpetrato da Hamas in Israele. Dopo l’attacco, Israele ha lanciato un’operazione militare nella Striscia di Gaza, dove finora sono morte più di 26 mila persone, tra cui un numero imprecisato di miliziani di Hamas e della Jihad islamica. Secondo quanto riferito oggi dal quotidiano statunitense “Wall Street Journal”, almeno 12 dipendenti dell’Unrwa sono in qualche modo collegabili con gli attacchi condotti lo scorso 7 ottobre da Hamas contro Israele, mentre il 10 per cento del personale avrebbe legami con gruppi militanti islamisti. Stando a uno dei dossier menzionati, sei operatori dell’Unrwa facevano addirittura parte dei commando palestinesi che lo scorso 7 ottobre hanno ucciso circa 1.200 persone nel sud d’Israele.
Altri due avrebbero contribuito al rapimento di cittadini israeliani, mentre altrettanti sarebbero stati segnalati in luoghi nei quali decine di civili dello Stato ebraico sono stati uccisi. Altri dipendenti dell’agenzia Onu, infine, avrebbero contribuito all’operazione sul piano logistico, per esempio fornendo armi ai militanti. Tra i 12, sette sarebbero insegnanti di scuola primaria o secondaria. Riguardo al raid di domenica in Giordania, fonti anonime hanno riferito al “Wall Street Journal” che le Forze armate statunitensi non sono riuscite a bloccare l’attacco contro una base Usa, a seguito del quale tre militari sono morti e almeno 25 sono rimasti feriti, perchè il drone utilizzato si è avvicinato alla struttura contemporaneamente a un aeromobile a pilotaggio remoto statunitense. Le forze Usa non sono riuscite a stabilire subito la provenienza del drone, scambiandolo per uno dei loro velivoli. Gli Stati Uniti hanno già detto che il drone che ha colpito la base Town 22, vicina al confine tra Giordania, Iraq e Siria, è stato lanciato da milizie filo-iraniane dell’Iraq.
Meno di 24 ore dopo l’attacco in Giordania da parte di gruppi del cosiddetto “asse della resistenza”, ovvero quelle milizie sia musulmane sciite che sunnite dotate di un’agenda personale, ma accomunate dal contrasto a Israele e agli Stati Uniti, almeno sette miliziani filo-iraniani sono stati uccisi in un presunto attacco aereo da parte di Israele che ha colpito l’area di Sayyida Zeinab, nel sud della capitale della Siria, Damasco. Secondo quanto ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), una organizzazione non governativa con sede a Londra ma che dispone di un’ampia rete di informatori sul campo, tra le vittime ci sono alcuni membri dei Guardiani della rivoluzione islamica dell’Iran, oltre ad almeno due cittadini siriani. L’attacco ha preso di mira due fattorie che si trovano nei pressi di alcuni edifici residenziali civili, utilizzate anche da gruppi iraniani. Secondo il Sohr, “le difese aeree delle forze armate siriane stavano cercando di sventare l’attacco, ma non ci sono riuscite e i missili hanno colpito i propri obiettivi”. In precedenza, il Sohr ha riferito dell’esplosione avvenuta in una zona considerata uno dei quartieri generali del partito sciita filoiraniano Hezbollah e dei Guardiani della rivoluzione islamica iraniani.
Infine, le milizie yemenite Houthi hanno lanciato un razzo contro una nave della Marina degli Stati Uniti nel Golfo di Aden. Lo ha annunciato il portavoce del gruppo, Yahya Saree, secondo quanto riferito dall’emittente yemenita “Al Masirah”. L’attacco è avvenuto nella notte tra domenica 28 e lunedì 29 gennaio. Da metà novembre scorso gli Houthi stanno portando avanti degli attacchi contro le navi dirette in Israele come risposta a quella che considerano un’aggressione della Striscia di Gaza, in corso dal 7 ottobre 2023. Questo ha spinto il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, a lanciare un’operazione multinazionale finalizzata a proteggere la navigazione nel Mar Rosso. Inoltre, le forze statunitensi e britanniche hanno condotto significativi attacchi contro le postazioni degli Houthi in Yemen, con l’obiettivo di ridurre la capacità dei miliziani di attaccare le navi commerciali.