Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 10/01/2024
L’Etiopia con l’accordo concluso con il Somaliland vuole un accesso diretto al mar Rosso, attraverso il porto di Berbera
Non si è fatta attendere la risposta della Somalia alla sfida lanciata dall’Etiopia con l’accordo concluso lo scorso primo gennaio con il Somaliland per ottenere un accesso diretto al mar Rosso, attraverso il porto di Berbera. Dopo aver dichiarato “nullo” l’accordo, il presidente Hassan Sheikh Mohamud ha lanciato una controffensiva diplomatica per assicurarsi il sostegno di alleati regionali invisi ad Addis Abeba, in primis l’Eritrea e l’Egitto, che su diversi fronti hanno interesse a contenere le ambizioni etiopi. Così, a pochi giorni dalla firma del memorandum, il presidente Mohamud ha ricevuto a Mogadiscio una delegazione egiziana di alto livello, prima di volare ad Asmara per consolidare le sue relazioni con l’omologo Isaias Afwerki.
La visita della delegazione egiziana ha di fatto confermato il sostegno già espresso da Il Cairo a Mogadiscio subito dopo la firma del discusso accordo, che consentirà alle forze navali etiopi – civili e militari – un accesso ventennale al porto di Berbera in cambio di un (futuro) riconoscimento dello Stato separatista. I delegati del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, si legge in un comunicato, hanno ribadito un “incrollabile” sostegno “alla sovranità, all’unità e all’integrità territoriale della Somalia”, sottolineando “l’importanza del rispetto di questi principi fondamentali” e affermando “la propria opposizione a qualsiasi azione che possa invaderne il territorio”.
Dopo aver ospitato la delegazione egiziana, che lo ha invitato a visitare presto Il Cairo, Mohamud è partito alla volta di Asmara, nel tentativo d’incassare il sostegno da parte di un alleato con cui coltiva da mesi una preziosa collaborazione, in particolare sul versante militare, essendo il Paese la principale base di addestramento dei suoi soldati impiegati in una vasta offensiva contro gli insorti jihadisti di al Shabaab. Secondo quanto riferito in un comunicato dalla presidenza eritrea, nel corso del colloquio Mohamud e Afwerki hanno “concordato di lavorare vigorosamente, attraverso la cooperazione bilaterale e nel quadro di una più ampia complementarità regionale, con pazienza e spirito costruttivo, astenendosi da un atteggiamento reattivo nei confronti di vari programmi provocatori”, con chiaro riferimento all’accordo di Capodanno.
Dietro i toni diplomatici, tarati sul vocabolario internazionale, si intravede l’allineamento cercato da Mogadiscio in un momento particolarmente delicato per la sua stabilità, in tempi in cui il suo esecutivo ha saputo progressivamente guadagnarsi la fiducia internazionale e ottenere dalle Nazioni Unite la revoca di un embargo sulle armi, in vigore da oltre 30 anni. Da parte sua, la presidenza eritrea ha annunciato che “nel prossimo futuro rilascerà ampie dichiarazioni sulle citate questioni bilaterali e regionali”. In questo scenario si è inserito, nelle ultime ore, anche il governo di Gibuti, attualmente unico Paese regionale ad aver concesso all’Etiopia uno sbocco al mare dopo l’indipendenza eritrea (1993), nonché mediatore “beffato” del dialogo – da poco ripreso – fra Somalia e Somaliland.
Le autorità gibutine, che fino Il Mondo che cambia ad ora non avevano commentato l’accordo di Berbera, hanno espresso preoccupazione per la mossa etiope, temendo un ormai inevitabile peggioramento delle relazioni diplomatiche tra Somalia ed Etiopia. In una dichiarazione diffusa ai media, il ministro degli Affari esteri Mohamud Ali Yusuf ha ribadito che il governo di Gibuti “rispetta l’integrità territoriale e la sovranità” di tutti gli Stati membri dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad). “Gibuti afferma la propria conformità e adesione al rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti gli Stati membri dell’Igad”, si legge nel comunicato, nel quale si aggiunge che Gibuti sta seguendo da vicino la situazione e invita tutte le parti ad abbracciare il dialogo e a lavorare per una risoluzione pacifica e amichevole della controversia diplomatica.
Un invito al dialogo è giunto nei giorni scorsi anche dall’Unione africana, sempre più preoccupata dalle eventuali ripercussioni regionali che un inasprimento dei toni potrebbe portare, come già accaduto nel conflitto dell’Etiopia contro l’Eritrea o, più di recente, in relazione al dossier della Grande diga della rinascita etiope (Gerd). Lo sviluppo del maxi progetto promosso da Addis Abeba sulle acque del Nilo Azzurro ha infatti provocato una levata di scudi da parte di Sudan ed Egitto, Paesi a valle che temono le conseguenze di eventuali disfunzioni dell’impianto. In quest’intricata rete di azioni e reazioni, la Somalia si è mossa in questi giorni con mano ferma, con l’obiettivo di rafforzare il legame con i partner della regione più motivati a contenere l’azione etiope.
Da parte sua Mogadiscio, che considera il Somaliland come parte del suo territorio, ha dichiarato l’accordo di Berbera “nullo e impraticabile”, traducendo la sua posizione in una legge emanata da entrambe le Camere del Parlamento federale e firmata dal presidente, che annulla il memorandum d’intesa. Il documento minaccia in effetti alcuni interessi strategici di Mogadiscio, aprendo ad esempio la strada alla realizzazione di una base militare etiope nel territorio del Somaliland, in progetto a Lughaya, nella regione di Adal. In aperta contestazione con l’accordo con l’Etiopia, il ministro della Difesa del Somaliland, Abdiqani Mohamoud Ateye (originario proprio di Awdal), si è dimesso dalle sue funzioni, criticando apertamente il suo presidente Muse Bihi Abdi per non aver consultato in via preventiva il Consiglio dei ministri dello Stato separatista sull’accordo portuale con l’Etiopia.
Ateye lamenta addirittura di essere venuto a conoscenza dell’accordo “dai media”, e del resto l’aspetto militare appare rivestire un’importanza non indifferente nei termini dell’accordo, come testimoniato anche dall’incontro fra i capi di Stato maggiore di Etiopia e Somaliland, Birhanu Jula e Nuh Ismail Tani, avvenuto ad Addis Abeba. Nel corso dell’incontro, riferisce l’esercito etiope in una nota, le parti “hanno esplorato le modalità di collaborazione nella sfera della cooperazione militare”. Peraltro, se il Somaliland ha affermato che in base all’accordo l’Etiopia accetterebbe in futuro di riconoscere lo Stato separatista come indipendente, da parte etiope l’impegno appare più sfumato, e soggetto ad “una valutazione approfondita per prendere posizione sugli sforzi del Somaliland per ottenere il riconoscimento”.
Il Somaliland – territorio che coincide con quello dell’ex protettorato britannico – ha rivendicato l’indipendenza dalla Somalia nel 1991 e si è strutturato a tutti gli effetti come uno Stato regolare, con il suo presidente, un esecutivo, la sua magistratura e Banca centrale. Il territorio non è tuttavia mai stato riconosciuto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite né da alcun Paese, eccezion fatta per l’autogovernata isola di Taiwan, rivendicata dalla Cina. Ad oggi con Hargheisa intrattengono relazioni politiche Regno Unito, Ruanda, Norvegia, Kenya, Etiopia, Irlanda ed Unione europea, che nel 2007 ha inviato una delegazione per gli affari africani per discutere di una futura cooperazione.