Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 15/12/2023
A quattro giorni dal prossimo briefing al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 18 dicembre, il rappresentante speciale del segretario generale e capo della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), Abdoulaye Bathily, sta premendo sull’acceleratore per raccogliere i frutti della sua nuova iniziativa per portare il Paese nordafricano alle elezioni.
A quattro giorni dal prossimo briefing al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 18 dicembre, il rappresentante speciale del segretario generale e capo della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), Abdoulaye Bathily, sta premendo sull’acceleratore per raccogliere i frutti della sua nuova iniziativa per portare il Paese nordafricano alle elezioni. Il 23 novembre scorso, il politico e diplomatico senegalese dell’Onu ha chiesto ai cinque principali soggetti istituzionali libici – il Consiglio presidenziale (organo tripartito che svolge le funzioni di capo di Stato), la Camera dei rappresentanti (la Camera bassa eletta nel 2014 che si riunisce nell’est), l’Alto Consiglio di Stato (il “Senato” con sede a Tripoli), il Governo di unità nazionale (Gun, l’esecutivo riconosciuto dall’Onu basato a Tripoli) e il Comando generale dell’Eser – cito nazionale libico (Enl, la coalizione di milizie guidate dal generale Khalifa Haftar) – di nominare tre rappresentati che dovranno sedere allo stesso tavolo per trovare un compresso sulle cosiddette “questioni irrisolte”: il secondo turno obbligatorio delle elezioni presidenziali; la validazione delle elezioni presidenziali insieme alle parlamentari; la formazione di un “nuovo governo” incaricato di portare il Paese al voto.
Fonti riservate contattate da “Agenzia Nova” hanno espresso più d’una perplessità sull’iniziativa “dei cinque elefanti in una stanza”, come viene ormai definita in ambienti diplomatici. Ad oggi, solo l’Alto Consiglio di Stato, il Governo di unità nazionale e parte del Consiglio presidenziale hanno nominato i propri rappresentanti. Le maggiori resistenze arrivano dalla Camera dei rappresentanti e dall’Esercito nazionale libico, rappresentanti della Cirenaica, la regione libica orientale dominata dalle forze di Haftar, per via dell’esclusione del Governo di stabilità nazionale (Gsn) del premier “parallelo” designato dal Parlamento, Osama Hammad, non riconosciuto dalla Comunità internazionale. E’ di oggi, inoltre, la notizia che i due vicepresidenti della Camera dei rappresentanti – Fawzi al Nuwairi e Al Misbah Douma – abbiano prodotto una lettera, non approvata dal presidente del Parlamento Aguila Saleh, impegnato in una visita in Turchia, per esprimere “il rifiuto di partecipare a qualsiasi dialogo politico che includa il Gun uscente”. Inoltre, le fonti di “Nova” riferiscono che l’incontro di Bathily con Haftar a Bengasi dello scorso 11 dicembre non è andato affatto bene.
Il “feldmaresciallo” libico insiste per includere il premier “orientale” Hammad nel dialogo, ma si tratta a ben vedere di una richiesta pretestuosa che l’Onu non può accettare. Il Gsn è di fatto una scatola vuota priva di reali funzioni: a comandare in Cirenaica e in gran parte del Fezzan, la regione sud-occidentale libica povera di servizi ma ricca di petrolio – è il clan legato a Haftar e ai suoi figli, figli Khaled e Saddam Haftar, recentemente promossi da generale di brigata al rango di generale di divisione (l’equivalente di un generale a due stelle). Secondo le fonti riservate di “Nova”, Bathily, anche in previsione della scadenza del 18 dicembre, tenterà di convocare la riunione in una località neutrale, molto probabilmente Tunisi, con le adesioni ricevute finora, per poi aspettare le mosse degli avversari. Già in passato Haftar ha mantenuto un approccio ambiguo dinanzi a queste iniziative: alla conferenza internazionale “per” e “con” la Libia organizzata dall’Italia a Palermo nel novembre 2018, nonostante fosse stato invitato, il generale si presentò solo all’ultimo minuto, dopo un tira e molla che aveva tenuto gli organizzatori con il fiato sospeso.
Paradossalmente, oggi chi ha più da perdere dall’iniziativa dell’Onu è il premier Dabaiba, l’unico ad aver espresso – almeno a parole – la volontà di trovare un compromesso per andare alle elezioni. Le prospettive che la proposta di Bathily abbia, ad ogni modo, non sono di certo ottimistiche per almeno tre ragioni, come spiegato ad “Agenzia Nova” dall’analista senior dell’International Crisis Group (Icg), Claudia Gazzini, tra i massimi esperti di Libia. “La prima ragione è la composizione delle cinque delegazioni. C’è disaccordo su chi dovrebbe essere al tavolo”, afferma l’esperta. Ad esempio, secondo l’analista, la Camera dei rappresentati non accetta la presenza del premier del Gun o dei suoi rappresentanti senza includere anche il governo Hammad con sede nell’est. “La seconda ragione per la quale le probabilità di successo sono basse è che c’è disaccordo anche sulla road map. I vari soggetti lo hanno detto chiaramente nei giorni scorsi. Lo stesso Dabaiba ha dichiarato che parteciperebbe con piacere a questa iniziativa, ma solo alla condizione che questo porterà alle elezioni”, aggiunge Gazzini.
La posizione di base del premier al potere a Tripoli è di rifiuto di un nuovo governo ad interim, che è invece la conditio sine qua non dell’est per andare alle elezioni. “L’iniziativa aiuta a risolvere questo blocco, ma penso che le posizioni non cambieranno”, commenta Gazzini. “La terza e più rilevante ragione per la scarsa probabilità di successo di questa iniziativa – conclude l’analista italiana esperta di Libia – è che, se osserviamo le iniziative di mediazione passate, risulta evidente che quando i principali partecipanti, quelli detentori del potere, come in questo caso, si uniscono, manca la pressione e l’intenzione di compromesso. Al contrario, abbiamo assistito a mediazioni di successo quando la presenza di coloro che detengono il potere è stata diluita, coinvolgendo altri partecipanti motivati a promuovere il cambiamento. In situazioni in cui ci sono due, quattro o cinque attori dominanti, nessuno di essi è realmente incentivato a partecipare ad elezioni o ad accettare una riconsiderazione della quota di potere attuale. Ritengo che, dalla sua composizione originaria, questo formato sia destinato a consolidare lo status quo”.